a cura di
Claudio Gallini
A Gropparello e a Pontenure, in
provincia di Piacenza, esistono rispettivamente un vicolo ed una via dedicate
ad una persona davvero poco conosciuta ai tanti, ma che a metà del sec. XIX era
considerata addirittura il più grande domatore italiano, seppur famoso principalmente
all'estero.
Ci stiamo riferendo alla figura di Upilio Faimali di cui proveremo a raccontarne concisamente la storia, facendo fede a quanto scritto da Paolo Mantegazza in “Upilio Faimali memorie di un domatore di belve” e su quanto indicato nel “Nuovo Dizionario biografico piacentino”.
La copertina de: "Upilio Faimali, Memorie di un domatore di Belve" Compilate dall'amico di Famali, Paolo Mantegazza nel 1879. |
Upilio nacque a Gropparello, in
val Vezzeno, nell’agosto del 1824 da un’umile famiglia e, nemmeno adolescente,
decise di emigrare Oltralpe compiendo un lungo viaggio, anche a piedi, di oltre
cinquecento chilometri, fino ad arrivare a Colmar nella regione francese
dell’Alsazia.
Nella ridente cittadina alsaziana
Upilio si fece assumere nel circo di Didier Gautier e dopo poco tempo fu già in
grado di esibirsi in spettacoli impressionanti.
In questo circo infatti, iniziò
la sua carriera da funambolo con i cavalli ed imparò inoltre ad ammaestrare
una scimmia, alla quale faceva cavalcare pantere, e altri felini feroci.
Le cronache ricordano successivamente
che a Varsavia il Faimali presentò per la prima volta il numero della scimmia che,
indossando una divisa da militare, piroettava sulla schiena di un cane
ottenendo numerosi applausi.
La carriera del domatore piacentino fu da subito un gran successo soprattutto per le tecniche di ammaestramento
da lui utilizzate per la doma degli animali feroci quali: pantere, iene, lupi,
etc.; egli infieriva alle bestie dei potentissimi schiaffi, anziché adottare
l’uso classico di fruste e forconi, acquistando in poco tempo davvero
tantissima popolarità.
Un'immagine di Upilio Faimali tratta da: "Upilio Faimali, Memorie di un domatore di Belve" di Paolo Mantegazza. |
Così scriveva di lui Paolo
Mantegazza:
“Il domatore di fiere non è un uomo volgare, e basti vedere quanto ne siano rari tipi perfetti, e come talune province (Piacenza) sembrano serbarsene il privilegio e trasmetterne le virtù di padre in figlio. A fare un distinto domatore non basta il coraggio, non basta la forza, non l'agilità; ci vuole un'armonia perfetta di molte e singolari virtù”.
La storia del Faimali fu anche segnata
da eventi poco fausti, soprattutto sul finire dell’Ottocento quando, acquisite
in dote tutte le fiere dal rinomato circo Bidel (sposò difatti la vedova di L.
Bidel), vide per ben tre volte morire l’intero serraglio a causa dell’antracite
che causò delle irrimediabili infezioni.
Egli non demorse e decise di recarsi
personalmente in nord Africa per recuperare nuovi animali coadiuvato da altri
uomini. In oltre duecento giorni di permanenza, riuscirono a catturare quasi trenta
felini che portarono via mare in Europa.
Upilio (anche Opilio) Faimali
riprese così un’intensa attività circense concentrata soprattutto in Francia ed
in Germania creando nuovi shows; il successo di quel momento fu la rievocazione
della caccia in Africa.
Egli entrava in una grande gabbia
vestito da arabo e iniziava a lottare con le belve sempre con l’ausilio dei
suoi forti ceffoni; una messinscena che provocava forti emozioni al pubblico e
che riempiva i titoli dei giornali con in primo piano le foto del Faimali con
la testa dentro le fauci di un leone.
Egli si guadagnò il soprannome
di “re dei giaguari” per il coraggio e la celebrità conquistata durante i suoi
spettacoli che gli causavano però, nel corso del tempo, mutilazioni, ferite e
in più occasioni mise a repentaglio la vita.
All'età di cinquant'anni decise, soprattutto
su pressioni della moglie di quel momento, di cedere l’intero serraglio e ritirarsi in terra
piacentina a Pontenure, paese natale della consorto Albertina Parenti.
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