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venerdì 28 dicembre 2007

L'Enel, il TCI ed i loro itinerari turistici...

Leggendo "la Cronaca" di oggi 28/12/2007, apprendo con somma "soddisfazione" che, per l'ennesima volta, Piacenza e la sua provincia vengono ignorate dalle riviste e dalle associazioni di settore nell'ambito turistico. Protagonista di questa puntata è ENEL, che, in collaborazione con il TCI (Touring Club Italiano), ha pubblicato la guida "I piaceri dell'energia", un volumetto omaggio distribuito ai clienti come strenna natalizia. All'interno di questa guida vengono segnalate le centrali ENEL presenti in Italia e si parla delle bellezze naturalistiche, artistiche ed alle eccellenze enogastronomiche relative ai territori che ospitano le centrali energetiche. Nonostante la nostra provincia disponga di 2 centrali ENEL delle 7 presenti in regione, nessuna menzione viene fatta dal TCI sul nostro territorio. Si parla invece molto della provincia parmense e dei suoi prodotti alimentari, fra cui la coppa... Mi rendo conto che le mie lamentele resteranno inascoltate, del resto il mio blog ha un numero esiguo di visitatori, ma ciò nonostante, non posso non esprimere la mia delusione ed incazzatura per come da sempre Piacenza e provincia escono sconfitte nella loro immagine e questo a vantaggio di altre realtà, che per motivi a me sconosciuti, godono di un'attenzione e devozione del tutto particolare da parte degli organi che contano. Mi chiedo quale siano i criteri con cui vengono suggeriti e studiati gli itinerari turistici o, con quali conoscenze degli esperti del settore possano sponsorizzare la "Coppa di Parma" come specialità parmense quando tale insaccato ha origini tipicamente piacentine oltre ad essere DOP quella da noi prodotta. Credo sia ora che i nostri politici, camera di commercio o chi ne ha competenza, inizino ad "alzare la voce" ed a far rispettare maggiormente le nostre peculiarità, che, oltre a non essere a sufficienza valorizzate, vengono attribuite e commercializzate da altre realtà a noi vicine.

Tratto da "La Cronaca" del 28/12/2007

martedì 18 dicembre 2007

Ecce Homo - Antonello da Messina

Il dipinto "Ecce Homo" di Antonello da Messina, rappresenta il pezzo di maggior pregio di tutta la collezione del Collegio Alberoni, costituita da: quadri, arazzi fiamminghi e da importantissimi manoscritti custoditi all'interno di quella che era la Biblioteca personale del Cardinale Giulio Alberoni.
Dell'artista, sono pervenute ai giorni nostri solo una cinquantina di dipinti, che, a parere degli studiosi, rappresenterebbero circa il 20% di tutto l'operato del maestro siciliano. Il capolavoro dell'Alberoni è del 1473, ed è evidente la disperazione ed il dolore che Antonello vuole trasmettere allo spettatore; emozioni, rese ancora più intense dalle lacrime che solcano il volto sofferente ed indignato di Cristo.
Qui sotto i tre "Ecce Homo" di Antonello da Messina


Antonello da Messina - Ecce homo (1473)
PIACENZA - COLLEGIO ALBERONI


Antonello da Messina - Ecce homo (1470)
NEW YORK- METROPOLITAN MUSEUM


Antonello da Messina - Ecce homo (1472)
GENOVA - PALAZZO SPINOLA



mercoledì 12 dicembre 2007

Aree Militari (1)

Piacenza è una città di confine, posta fra l’Emilia e la Lombardia, al centro del crocevia più importante del Nord Italia. Proprio la sua localizzazione geografica ha influito su tutta la storia cittadina ed ha contribuito a fare di Piacenza un importante centro strategico militare.Questa peculiarità, ha dato si dei vantaggi al territorio, ma ne ha anche limitato e soffocato la crescita ed uno sviluppo urbanistico migliore. Sono infatti numerosissime le aree e gli edifici di proprietà del Demanio e quindi non fruibili alla popolazione civile, come ad esempio: Polo di mantenimento pesante, all’ex ospedale militare, il bastione di porta Borghetto, le caserme De Sonnaz di via Castello, Dal Verme, Alfieri e Pietro Cella di via Benedettine, la Cantore sullo Stradone Farnese, etc...
Se ne parla da diversi anni, ma negli ultimi mesi le aree militari sono in assoluto l’argomento più discusso in città, basti pensare, che furono “il cavallo di battaglia” di entrambi i candidati sindaco alle ultime elezioni comunali ed effettivamente, la questione è delicatissima e potrebbe rappresentare una svolta epocale per il futuro di Piacenza. Infatti, la possibilità che diverse di queste aree vengano restituite alla città è sempre più concreta e questa operazione, si può tradurre in un milione di metri quadrati ridati alla popolazione piacentina.
Il demanio, venderebbe o darebbe in gestione pluriennale le sue proprietà al comune, che di conseguenza, si impegnerebbe a fornire uno spazio nella periferia cittadina dove far sorgere un polo militare che accorpi tutte le varie realtà militari presenti in città.
L’intera operazione ha dei prezzi mastodontici, si parla di 250 milioni di euro, denaro di cui il comune non dispone e proprio per questo, ora come non mai è necessario fare sistema fra tutte le forze locali, sia quelle pubbliche che private. Con queste acquisizioni la città potrebbe cambiare radicalmente aspetto, traendo enormi vantaggi sia in termini urbanistici, ambientali ed economici, è fondamentale quindi, non perdere anche questa ennesima ed irripetibile opportunità, smettiamola di ragionare da provinciali, si possono fare progetti ambiziosi anche senza essere una metropoli e, qualche realtà a noi vicina, dovrebbe averci insegnato qualcosa…

Le aree militari più importanti del centro cittadino

domenica 9 dicembre 2007

Veleia Romana - La Pompei del Nord Italia

Situata in Val Chero, Veleia rappresenta uno dei siti archeologici nazionali più importanti, definita addirittura da alcuni esperti la "Pompei del Nord Italia".
Gli scavi, iniziarono nel 1760 sotto il comando di Don Filippo di borbone, duca di Parma, Piacenza e Guastalla. Durante le ricerche furono diversi i reperti che vennero alla luce: bronzi, statue, ma soprattutto, la celebre Tabula Alimentaria Traiana, la più grande tavola scritta in bronzo di tutta l'antichità romana (metri 1,50 X 3). Tutti i ritrovamenti, furono (PURTROPPO!!!) portati a Parma, dove sono tutt'ora conservati nel Museo Archeologico Nazionale della Città Ducale.
Oltre all'importanza del sito archeologico, Veleia è valorizzata dalla bellezza naturale del luogo, che rende l'intero contesto un posto incantevole. Molto suggestive e consigliate sono le rappresentazioni di teatro antico, svolte nel periodo estivo all'interno delle antiche rovine romane.


Il Foro - (The Forum)


Le Terme

mercoledì 5 dicembre 2007

Piacenza - La Cattolica ed il Politecnico

Piacenza, ospita dal 1953 l'Università Cattolica del Sacro Cuore con la facoltà d'Agraria, una delle più prestigiose in questo settore. Negli anni oltre a questo indirizzo, si sono aggiunti anche quelli di: Giurisprudenza, Economia, Giurisprudenza e Scienze della Formazione.
Di più recente formazione è l'insediamento del distaccamento del Politecnico di Milano, che, dall'anno accademico 1997/1998, si è insediato all'interno della "caserma della neve" in Via Scalabrini e, da quest'anno, anche negli edifici sapientemente ristrutturati dell'ex macello comunale.
Con le facoltà del Politecnico (Ingegneria Industriale ed architettura ambientale), la città si è arricchita ulteriormente di una maggiore e prestigiosa offerta formativa che la rende più appetibile, sia per i piacentini che decidono di proseguire gli studi nella propria città che per coloro di altre realtà italiane (ma non solo), che invece la scelgono come luogo di studio e come conseguenza, spesso ci vivono .
Proprio sul tema degli alloggi per studenti, le due realtà universitarie piacentine in sintonia con il comune, si stanno muovendo per trovare soluzioni abitative per tutti i laureandi che ne hanno fatto richiesta. La presenza delle due facoltà è una grandissima opportunità per la crescita della città sia per una crescita culturale, di ricerca ed occupazione lavorativa. E' quindi necessario, non solo mantenere i due poli ai livelli attuali, ma, impegnarsi per una loro costante crescita qualitativa che garantiranno a tutta la realtà locale grandissimi benefici.

Università del Sacro Cuore - Piacenza


Politecnico di Milano - Piacenza


Collegio di Piacenza - (alloggi per studenti)

domenica 2 dicembre 2007

Piacenza ed il suo Fegato... etrusco

Il "Fegato Etrusco" conservato all'interno di Palazzo Farnese, rappresenta il pezzo più importante della sezione archeologica del museo civico comunale. Trovato casualmente da un contadino nei pressi di Gossolengo, questo reperto è un'importantissima testimonianza per lo studio della cultura etrusca. Infatti, la parte superiore del fegato (considerato nel loro culto l'immagine dell'ordine cosmico), è suddivisa in sedici settori dove, all'interno di essi, sono inseriti i nomi di trenta divinità etrusche. Questa divisione rappresenta fedelmente come per gli etruschi era diviso il firmamento

Il fegato visto dalla parte viscerale
(piatta, leggermente concava) con le tre protuberanze.

Rappresentazione dei caratteri etruschi visibili sul lato viscerale.

Testi e foto, tratti da: Il Fegato etrusco di Piacenza

L'anno era il lontano 1877. La giornata era una di quelle dolci giornate di fine settembre della bassa piacentina, quando i raggi tiepidi del sole dissipano, svogliatamente, le vaghe ombre della bruma mattutina. Il bifolco della fattoria dei conti Arcelli, presso Settima di Ciavernasco, ad un kilometro sulla riva destra del fiume Trebbia, manovrava con mano esperta l'aratro, e seguiva, con occhio attento e sapiente, l'andare solerte dei due poderosi buoi, che la trainavano con magnanima pazienza.

La fragranza delle umide zolle, squarciate di forza dall'affilato e luccicante vomere, si disperdeva nell'aria mescolandosi con l'acre odore dei buoi accaldati. Qua e là svolazzavano gli affamati batticoda che si saziavano dei succulenti e agitati vermi. Il respiro ansante e bavoso dei due animali si univa al tonfo dei loro concordi e ritmici passi e con il cigolìo del giogo e dei finimenti. Di tanto in tanto si alzava la voce del contadino che, con l'ausilio del pungolo, ammoniva o incoraggiava ora l'uno ora l'altro bue. Questi suoni si fondevano con lo strisciare affievolito delle zolle che s'impennavano, di malavoglia, lungo il concavo versoio dell'aratro, per poi sgretolarsi inerte su quelle del solco precedente. L'insieme di questo quadro scenografico era conforme ad una magica sinfonia pastorale eseguita, nella quiete bucolica della campagna piacentina di 130 anni fa, secondo il canone di una liturgia agreste millenaria, quando l'uomo dialogava ancora con la terra.

D'un tratto questo ritmo armonioso fu interrotto da un suono discordante e repentino, di metallo contro metallo. Il contadino comandò subitamente ai buoi di fermarsi. Incuriosito esaminò il solco, e l'occhio cadde su di un oggetto di strana forma che spuntava dalla zolla appena capovolta. Lo prese in mano e lo ripulì del limo appiccicoso. La parte convessa dell'oggetto, di modeste dimensioni, si adattava perfettamente nel palmo della sua mano; sull'altro lato, leggermente concavo, c'erano invece tre protuberanze di forma dissimile. Non riusciva a capire cos'era, n'è come mai era spuntato fuori lì, e perchè proprio in quel giorno. Lo rigirò ripetutamente palpando l'oggetto con le sue mani incallite, poi lo buttò, quasi infastidito, sotto un albero del filare di pioppi lombardi rasenti al capofosso, e continuò ad arare.
All'imbrunire, finito, almeno per quel giorno, di dissodare il campo, il contadino riprese lo strano oggetto e staccati i buoi dall'aratro, li guidò verso casa per un ben meritato riposo.
Fu così, verosimilmente, che il "iecur placentinum" ossia il così detto "fegato piacentino", uno dei reperti antichi tra i più singolari ed unico esempio nell'ambito dell'archeologia Etrusca, vide la luce. Trovato da un semplice uomo, ad una spanna di profondità, durante una comune attività ciclica annuale, in un campo prativo ordinario. Analogo a questo fortuito ritrovamento del "fegato" è la leggenda della nascita di Tages, divinità con corpo di fanciullo e la sapienza di un anziano, che nella mitologia etrusca rivelò i sacri scritti, il quale sbucò d'improvviso da un solco mentre un colono arava nei pressi di Tarquinia.
Questo prezioso reperto bronzeo piacentino, che fu eventualmente donato al Museo Civico di Piacenza il primo agosto 1894 dal conte Francesco Caracciolo che l'aveva nel frattempo acquistato, e le cui dimensioni sono millimetri 126 X 76 X 60 con un peso di 635 grammi, rappresenta, con una evidente fedeltà anatomica, la forma di un fegato di pecora. Sulla parte superiore, leggermente concava con tre protuberanze, una delle quali rappresenta la cistifellea, vi sono 40 iscrizioni in lingua etrusca divise in 16 settori; inoltre, due iscrizioni si trovano sulla parte parietale al di sotto. Nei sedici settori sono inscritti i nomi di trenta divinità mitologiche etrusche, cosicchè ciascun settore corrisponde ad una specifica divisione del cielo, esattamente come gli stessi Etruschi avevano diviso il firmamento, poichè nel loro culto il fegato rappresentava l'immagine dell'ordine cosmico [1].
Ai primi tempi della scoperta non si parlava di "fegato", com' era pure ignoto il significato, l'uso e la provenienza di questo oggetto. Solo in seguito, con studi più approfonditi da storici come W. Deecke (1880), G. Körte (1905), C. O. Thulin (1906), Pallottino (1956) e Maggiani (1982) [1], fu messo in evidenza la sua importanza eccezionale. L'archeologo Luigi Adriano Milani, direttore del Regio Museo Archeologico di Firenze, fu il primo a definirlo "fegato" nel 1900 [5], seguito poi dal Körte nel 1905.


giovedì 22 novembre 2007

Via Scalabrini e Pazzetta San Paolo

Via Scalabrini ( ieri)

Copyright Tip.le.co - (Gredies)

Questione molto attuale: La "risistemazione" di Via Scalabrini e di Piazzetta San Paolo. Questo recente intervento ad opera del comune sta facendo molto discutere, sia i residenti che i commercianti della zona interessata.
Gli interventi effettuati hanno consistito nell'inserimento di: Parigine, Cancellate per delimitare i marciapiedi, Occhi di gatto (posa sul manto stradale di elementi catarifrangenti), Fioriere e nella costruzione di Berlinesi (dossi). A giudicare dalle prime reazioni, i pareri dei cittadini sono stati tutt'altro che entusiastici, eppure, come sempre accade, Reggi e Co han già fatto sapere che difficilmente verranno apportate modifiche sugli interventi fatti. Io mi chiedo questo, ma non era nelle intenzioni del primo cittadino far partecipare i cittadini sulle scelte di come Piacenza dovrebbe cambiare? La mia impressione è che poco importi a Reggi dei nostri pareri. Il suo decisionismo lo trovo un'ottima qualità (troppo spesso mancata ai sindaci passati), ma talvolta, questa sua dote trascende in un'ottusa e sorda presunzione che lo spinge ad agire senza confrontarsi con i diretti interessati che poi siamo noi cittadini. A breve dovrebbero essere fatti lavori di risistemazione su Piazza Sant. Antonino; Il pensiero mi fa tremare...


Via Scalabrini
( oggi)



domenica 18 novembre 2007

La Coppa - Specialità piacentina, ma per quanto?

Piacenza, non tutti lo sanno, è l'unica provincia in Europa a vantare tre D.O.P. (Coppa, salame e pancetta piacentina) eppure, spesso i nostri prodotti non vengono sufficientemente pubblicizzati ed esportati e, come al solito, mi tocca fare il duro raffronto con i cuginetti snob, ma sicuramente più furbi ed audaci di Parma.
Entrambe le province vantano prodotti agroalimentari di elevato prestigio, ma i Parmensi, sia per lungimiranza, sia per una buona dose di furbizia, hanno sempre avuto il grande merito di valorizzare al massimo le loro eccellenze, creando di Parma un vero e proprio marchio riconosciuto ovunque.
Chi non conosce: Parmalat, Parmacotto, Parmigiano Reggiano, la Violetta di Parma o l'acqua di Parma? Diciamolo pure, han creato attorno al nome della loro città una fama che la rende la capitale della gastronomia italiana. Su questo nulla da ridire, hanno saputo fare un'operazione di marketing maestosa creando attorno alla realtà un movimento economico impressionante. Quello che non sopporto, è la loro tendenza di volersi appropriare delle NOSTRE eccellenze, ma mi fa ancora più irritare il fatto che noi puntualmente glielo permettiamo. E' notizia di oggi 18/11/07 che la Provincia parmense ha fatto richiesta del marchio DOP per la loro??? Coppa, richiesta che probabilmente verrà concessa. Se così fosse, sarebbe un ulteriore impoverimento per la nostra realtà agroalimentare a favore della loro, e come al solito noi piacentini finiamo per essere "cornuti e mazziati".

notizia tratta da: http://www.polisquotidiano.it

La Provincia di Piacenza ha criticato la richiesta di Parma di dotare di marchio dop un nuovo insaccato, la coppa di Parma, quando già esiste un’analoga Coppa piacentina già con marchio riconosciuto. Sul dop alla Coppa di Parma l’orientamento del ministero alle politiche agricole è favorevole. “Non lo trovo corretto – afferma Mario Spezia, vicepresidente della Provincia di Piacenza e assessore all’Agricoltura – e al di fuori delle norme vigenti. Sarebbe uguale il comportamento del Ministero se da Piacenza partisse una richiesta per avere riconosciuto il culatello di Piacenza? Non credo”.

Non dimentichiamoci, che da noi si producono vini DOC, il grana, ma soprattutto anche salumi di cui Parma si fregia del DOP come il culatello (come del resto evidenziava Spezia). Perchè allora invece di minacciare non iniziamo a muoverci come loro, richiedendo davvero il DOP per il nostro culatello e valorizzando in maniera più consistente i nostri prodotti?

martedì 13 novembre 2007

BASTIONI FARNESIANI

Piacenza, rappresenta uno dei pochi centri in Italia ad aver mantenuto la propria cinta muraria.
I Bastioni che delimitavano la città, furono fatti erigere dai Farnese e rapprentano ad oggi, uno dei maggiori esempi di architettura militare del rinascimento italiano.
Da anni si parla o meglio, si sogna, di realizzare il "Parco delle mura" un po' sull'esempio di quanto fatto a Lucca ed in altre realtà dotate cinte murarie che hanno sfruttato splendidamente questa peculiarità architettonica.

Pianta del Centro storico di Piacenza (http://piacenza.guardaqua.it)

Allo stato attuale, ritengo che il lato sud (quello che si affaccia sul pubblico passeggio) sia ben conservato ed illuminato, ma, medesima considerazione, non posso farla per tutto il tragitto che da Santa Maria di campagna giunge fino a Porta Borghetto. Questa parte di cinta rappresenta a mio parere l'angolo più suggestivo di tutto il complesso dei bastioni, ma, come sempre accade a Piacenza, anni fa fu deciso un intervento di recupero atto a valorizzarne la struttura, ma il risultato ottenuto fu a secondo me terribile (mi riferisco alle tettoie azzurre ed all'edificio costruito ex-novo sopra il bastione adiacente all'importante porta cittadina).
Da evidenziare, che tale costruzione avrebbe dovuto ospitare centri culturali ed aggregativi cittadini, invece, dopo diversi anni dalla sua costruzione non è mai stata utilizzata ed è lasciata al suo completo abbandono.
Ritengo sia giunto il momento di ridare lustro alle nostre mura, magari facendole ancora "vivere" con manifestazioni musicali come "Tendenze" o "EquiPiacenza". Quindi, riqualificandole sia da un punto di vista artistico ma anche restituendole alla cittadinanza attraverso attività culturali ed aggregative.

tratto delle mura verso il Castello Farnesiano



Resti del Castello Farnesiano (Foto di Gregory)



Mura Medicee Grosseto (Foto di Gregory)


Mura di Lucca (Foto di Bluefootedboody)



sabato 3 novembre 2007

Palazzi di Piacenza - Cortili & Giardini

Sfrutto questo bellissimo video trovato su youtube. Il filmato è opera di "Piasintei", a cui faccio i miei sinceri complimenti per la bellezza e l'interesse del suo operato.
All'interno di questa clip possiamo ammirare alcuni dei cortili e dei giardini più prestigiosi della città.

lunedì 29 ottobre 2007

PIAZZA DUOMO - rivisitazione

Apro questo post per pubblicare un bel fotoritocco mandatomi da Gregory Day, un frequentatore del Blog, che come me, vorrebbe una maggiore cura alle bellezze architettoniche della nostra città ed un arredo urbano che sia all'altezza del contesto in cui esso è inserito.
Qui sotto, la foto da cui Gregory ha creato il suo rendering.
(http://www.flickr.com/photos/margheritaurbani/)

Piacenza Piazza Duomo - stato attuale


Piacenza Piazza Duomo - secondo Gregory Day

Ritengo che la soluzione adottata da Gregory, rappresenti la scelta più ovvia e razionale che dovrebbe essere attuata. La Piazza è stata recentemente restaurata e su alcune scelte apportate ho le mie riserve, ma ovviamente queste sono opinioni prettamente personali. Una cosa che però ritengo oggettiva, è data dall'incuria degli edifici porticati che delimitano due lati della piazza. Questi palazzi non hanno avuto nel corso degli anni una tinteggiatura coerente e l'impressione che danno è di disordine e trascuratezza. Ora, capisco che i palazzi in questione siano privati, ma, attraverso finanziamenti ed agevolazioni, bisognerebbe sollecitare i proprietari ad intervenire per dare alle suddette costruzioni, una colorazione pittorica che regalerebbe a Piazza Duomo un aspetto notevolmente migliore.
Invito tutti quelli interessati alla nostra città e provincia, ad intervenire alle discussioni ed a seguire l'esempio di Gregory, inviandomi le proprie idee su come Piacenza potrebbe essere migliorata.

martedì 23 ottobre 2007

Il deserto di Piacenza




Il titolo del post è provocatorio, l'ignobile e frettoloso fotomontaggio lo è ancora di più, ma purtroppo, la provocazione rappresenta una situazione non troppo lontana dalla triste realtà.
Ogni anno il centro perde dei "pezzi", negozi storici che chiudono, locali pubblici quali: bar, pub etc, sono sempre più rari ed, a differenza di qualsiasi altra città, quello che dovrebbe essere il "cuore pulsante" della vita cittadina dopo le 19.30 si trasforma in un vero e proprio dormitorio. Non si pretende di vivere le notti milanesi o La Rambla di Barcellona, ma nemmeno l'atmosfera deprimente che troppo spesso si respira girando di sera nelle vie principali del centro. Se Cremona, Parma o qualsiasi altra città, hanno un centro animato e vivace, perchè, da noi queste condizioni sembrano chimere irraggiungibili? Tempo fa, appena chiudeva i battenti un locale c'era subito qualche banca pronta ad insediarvi l'ennesima filiale, mentre ora, gli istituti di credito devono battere l'ardua concorrenza di papabili gestori di Kebab o di call-center. Come sottolineato più volte, non mi interessa farne un discorso politico, ma per varie motivazioni, Piacenza sta morendo e mi piacerebbe sapere se vi è l'intenzione da parte del comune di provare a rianimarla, non solo con eventi estemporanei ma con un agevolazioni alle attività commerciali atte a rendere il centro più vivace e di conseguenza più bello ed appetibile per i possibili turisti ed ovviamente per tutti i cittadini. Ricordo che negli ultimi anni sono tantissimi i locali, i ristoranti i cinema che hanno cessato l'attività e ben raramente questi, sono stati sostituiti con attività similari. Mi piacerebbe "sentire" il vostro parere su come si potrebbe uscire da questa situazione di stallo e dare una maggiore linfa vitale al nostro bellissimo centro.

sabato 13 ottobre 2007

Piacenza e Viterbo unite dai Farnese

La Provincia di Piacenza e quella di Viterbo nonostante la grande distanza che le divide, hanno un legame che le unisce fra loro, ovvero la Famiglia Farnese, che del viterbese era originaria e dal Lazio ha espanso i propri possedimenti anche a Parma e Piacenza diventandone padrona delle due province emiliane. La provincia di Viterbo ospita veri e propri gioielli architettonici, fra cui: Villa Lante a Bagnaia e soprattutto, la Reggia di Caprarola voluta da Papa Paolo III, eccelsa opera architettonica del Vignola, architetto prediletto della famiglia farnesiana a cui dobbiamo anche il progetto del Palazzo Farnese di Piacenza.
Recentemente, una delegazione piacentina facente parte di "Piacenza Musei", è stata accolta dai colleghi viterbesi per una visita alle dimore Farnesiane per comprendere e conoscere a fondo l'origine di questa dinastia ed i luoghi da dove essa si è formata.Da questo incontro sembra sia nata un'interessante collaborazione fra le due province, speriamo quindi che il connubio si riveli proficuo in termini turistici per la crescita turistica di entrambe le realtà.



Reggia di Caprarola




Palazzo Farnese di Piacenza


Tratto da: www.ansa.it
VITERBO - La cultura museale e storico-artistico dei Farnese diventera' un veicolo di promozione dei territori delle province di Piacenza e di Viterbo. E' quanto e' scaturito dalla recente 'missione' nella Tuscia di una folta delegazione di 'Piacenza Musei', guidata dal presidente e dal vice presidente dell'organizzazione, rispettivamente Luigi Rizzi e Stefano Pronti.

Nel corso dei due giorni di permanenza, durante i quali gli oltre 50 componenti della delegazione piacentina hanno incontrato i rappresentanti degli enti locali (il sindaco di Valentano Raffaela Saraconi, l'assessore alla Cultura della Provincia di Viterbo Renzo Trappolini, l'assessore agli Affari Generali del Comune di Viterbo Giovanni Arena e il vicesindaco di Caprarola Armando Proietti) e' emersa la comune volonta' di mettere a punto un progetto di sinergie tra i due territori, la cui storia e' stata caratterizzata in modo profondo dalla presenza della famiglia Farnese, che proprio nella Tuscia ha avuto origine.

Il progetto e' stato accolto con grande interesse anche delle istituzioni museali e culturali viterbesi: dal presidente del Consorzio Biblioteche di Viterbo nonche' esperto di storia farnesiana Romualdo Luzi al presidente del Centro studi e ricerche di Caprarola Luciano Passini. All'iniziativa hanno inoltre aderito il direttore del Museo di Valentano Fabio Rossi, la coordinatrice del Museo del Costume farnesiano di Gradoli Cinzia Vetrulli ed altri.

L'associazione 'Piacenza Musei' ha annunciato che, con il supporto delle istituzioni piacentine, si attivera' per dare concretezza al piano di sinergia storico-culturale farnesiana tra i due territori. Proprio a Piacenza, infatti, sono in via di definizione nuovi studi e approfondimenti sulla dinastia dei Farnese, con l'obiettivo di creare un circuito farnesiano in una piu' vasta ottica di marketing culturale, per una promozione territoriale che coinvolga in modo integrato il Piacentino e il Viterbese.

venerdì 5 ottobre 2007

Piazza S. Antonino: ancora lei

Riprendo un vecchio post ispirandomi ad un articolo scritto da Domenico Ferrari tratto dalla LIBERTA' di oggi 5/10/07 . In quest'articolo, il Sig. Ferrari ricalca perfettamente il mio pensiero, ovvero, che i luoghi storichi non necessitano di stravolgimenti o di progetti avveniristici, ma sarebbe sufficiente mantenere la loro integrità e dar loro il giusto decoro, cosa che da noi spesso è mancata, come ad esempio: Piazza Duomo, Cittadella, etc, etc, etc,...


Nelle prime dichiarazioni dopo le ferie seguite alle recenti elezioni comunali, il Sindaco e alcuni assessori hanno citato più volte la volontà della nuova giunta di dare spazio alla partecipazione dei cittadini, soprattutto nelle decisioni riguardanti il territorio del Comune e i beni culturali e ambientali che lo arricchiscono.
Inoltre, il Sindaco, nelle dichiarazioni fatte a Gustavo Roccella e pubblicate su Libertà il 31 agosto scorso, ha riconosciuto che i cittadini hanno "diritto al bello", e ha aggiunto: «Ci dobbiamo lavorare molto perché nel primo mandato la quantità di cose fatte ha chiesto un pegno al senso estetico». E ancora: «I cittadini hanno il diritto di vedere cose belle ovunque si guardino attorno, dalla segnaletica stradale all'aiuola, dalle nuove abitazioni ai lampioni».
Per un cittadino come me, che ha scritto articoli apparsi in questo giornale con titoli come "Il diritto alla bellezza del mondo che ci circonda" (31 dicembre 2004), si tratta di dichiarazioni tanto belle quanto insperate.
Che altro dire? Non posso che ringraziare il Sindaco e la nuova giunta e sperare che alle promettenti parole seguano fatti in accordo con esse. Sperare anche, e questo è un punto fondamentale, che tra il "bello" dei nostri amministratori e il "bello" come comunemente inteso da chi si occupa di arte e del nostro patrimonio artistico e paesaggistico non ci siano sostanziali differenze.
Allora, vediamo i primi pronunciamenti programmatici in materia. Il 13 settembre, Libertà, sempre a firma Gustavo Roccella, riportava la notizia che la giunta aveva il giorno prima varato il piano triennale delle opere pubbliche, in cui sono stati stanziati 500.000 euro per il "rifacimento" di Piazza S. Antonino.
E aggiungeva: «La progettazione esecutiva farà "sostanzialmente" capo agli uffici, "ma con un percorso partecipativo" e prendendo come "spunto importante" il concorso di idee dell'anno scorso». Poi, ad aumentare lo sconcerto con la totale confusione, lo stesso Roccella, riportando alcuni ritocchi alle linee programmatiche deliberati dalla giunta, scriveva il 26 settembre: «La riqualificazione di Piazza S. Antonino vede alleggerito di 500mila euro il finanziamento previsto nel 2007 e irrobustito di 900mila euro quello del 2009».
Sembra quindi che la cifra che il Comune vuole "investire" nella piazza sia molto maggiore dei 500mila euro di cui sopra.
*del Forum permanente
sul futuro di Piacenza
In ogni caso, si tratta di una somma ragguardevolissima, che deve essere giustificata in modo completamente convincente di fronte ai cittadini-contribuenti.
Come tutti i piacentini sanno, Piazza S. Antonino è uno dei luoghi monumentali più illustri della nostra città: contiene una basilica di grandissimo interesse storico ed architettonico, uno dei grandi teatri storici d'Italia, l'antichissima chiesetta di S. Maria in Cortina e numerosi palazzi nobiliari dei secoli dal XVI al XVIII; la forma irregolare e tutti questi monumenti conferiscono alla piazza una personalità spiccatissima.
Dopo l'espulsione del parcheggio che per molti anni l'aveva deturpata, operazione per la quale la giunta Reggi (primo mandato) merita lodi incondizionate, la piazza è quasi perfetta: basterebbe, per renderla perfetta, ripristinare l'antica pavimentazione cancellata dall'asfaltatura e riportare nel suo habitat naturale il vetusto ulivo, bello ma fuori posto, che vi è stato parcheggiato qualche anno fa.
E invece, non riesco a capire perché, c'è chi sente l'urgenza di "riqualificarla". Le ragioni addotte (quelle che ricordo io) sono che la piazza sarebbe "morta"; ma tantissime piazze, a Piacenza e altrove, hanno lo stesso livello di vivacità, e nessuno pensa di installarci un Luna Park per "vitalizzarle", come forse qualcuno vorrebbe fare in Piazza S. Antonino. Insomma, non è chiaro che cosa si desidera, ma sorge il timore che si vogliano introdurre modifiche che snatureranno la piazza e la renderanno più brutta.
Quasi tutte le "idee" presentate al recente concorso bandito dal Comune possono essere direttamente classificate in questa categoria, e non si capisce come mai qualche smilzo e pallido alberello, una panchina in stile Flintstones, un piccolo tram che fa il giro di una piazza che si può benissimo percorrere a piedi, alcune pecore che brucano l'erba ai piedi della torre carolingia, possano dare più vita ad una piazza che invece, secondo me, sarebbe ancora più bella se fosse più silenziosa.
Approfitto quindi dell'annuncio che la progettazione seguirà un "percorso partecipativo" per iniziare la mia partecipazione con una domanda: qual è la vera e importante ragione per la quale occorre metter mano a Piazza S. Antonino, andando oltre il ripristino dell'antica pavimentazione? Può il Comune spiegare, a noi cittadini che paghiamo il conto, per quale motivo si investono almeno 500.000 euro (un miliardo di lire) nella "riqualificazione" della piazza invece che, per esempio, in una o più delle molteplici e veramente urgenti esigenze sociali della città?
O, se l'investimento della somma in questione deve essere più vicino a temi territoriali, perché non usarla per incrementare il depressissimo turismo a Piacenza? O, ancora più vicino all'investimento pianificato, perché non riqualificare una piazza che ne ha veramente bisogno, e che magari grida vendetta da molti decenni (per esempio, Piazzale Torino) o una chiesa come quella del Carmine, che prima o poi si ridurrà ad un mucchio di rovine?
Quando parlo o scrivo di queste cose, c'è sempre chi, ad alta voce o soltanto in cuor suo, mi classifica come un conservatore (con aggettivi forse anche molto coloriti, ma generalmente negativi). Questa accusa di conservatorismo (che io di solito prendo come un complimento per le ragioni che dirò) è in verità molto triste. E non perché il bersaglio è una persona (il sottoscritto) che ha trascorso la sua vita nel mondo della ricerca scientifica internazionale, dove la vera innovazione è di casa, e che di innovazione tecnologica nel campo dell'informatica e delle reti di computer ne ha fatta tanta, anche personalmente. Ma perché è un'ulteriore prova di uno dei nostri difetti capitali: amiamo conservare ciò che dovremmo buttar via il più velocemente possibile (per esempio, il nostro arcaico ordinamento amministrativo, la nostra mentalità legalistica, la nostra vertiginosa burocrazia, il nostro modo di far politica) e distruggere ciò che dovremmo religiosamente conservare (il nostro patrimonio artistico, il nostro un tempo mirabile paesaggio, i nostri irripetibili centri storici, le nostre tradizioni, la nostra lingua e i cosiddetti dialetti). Dovremmo invece salvare ciò che va salvato e spazzar via ciò che va spazzato via perché ci impedisce di progredire. Non viceversa.






venerdì 28 settembre 2007

Giuseppe Verdi il Piacentino

Giuseppe Verdi come ben tutti sanno, è nato a Roncole di Busseto (PR), ma ben pochi sanno che il maestro era di chiare origini piacentine, da parte di entrambi i genitori e che, con Parma e con tutto il suo territorio, ha avuto ben poco a che fare. Sembra che addirittura non amasse particolarmente i suoi compaesani di Busseto. E' un dato di fatto, che nella nostra provincia (PIACENZA) lui non ci è nato casualmente, ma ci ha voluto vivere, soggiornando nella sua elegante villa a S. Agata dove ha composto tanti dei suoi capolavori musicali.
Di Villanova sull'Arda e della provincia di Piacenza fu anche consigliere provinciale.
Anche in questo caso, si nota la differenza fra Parma e Piacenza. Loro sfruttano fino al midollo il legame che hanno con Verdi; noi invece, beh lasciamo perdere. Qualcosa è stato fatto, ma sempre in ambiti locali mentre oggi 28/09/07, a Parma ha inizio il "Festival Verdi 2007" al teatro Regio ed il richiamo dell'evento è nazionale. Ancora una volta, ci tocca imparare da chi da secoli si dimostra più lungimirante e furbo di noi.

Qui sotto, un breve testo tratto da www.verdipiacentino.it - interessante sito ricco di informazioni inerenti alla vita del maestro.



Giuseppe Verdi ha i tratti caratteriali tipici dei piacentini. Operoso, prudente negli affari, parsimonioso ma anche generoso. Fiero e riflessivo, sa essere inflessibilmente severo. Egli nasce, sì, a Roncole di Busseto (Parma) da Carlo Verdi, che gestisce un'osteria, e da Luigia Uttini. Entrambi i genitori hanno però radicate origini piacentine: la famiglia Verdi, dal XVII secolo gravita tra Villanova e Sant'Agata, entrambe località del Piacentino, mentre da parte materna gli Uttini si muovono tra Saliceto di Cadeo e Chiavenna Landi, in piena terra piacentina. E' solo il nonno Giuseppe Carlo, che - pur avendo diverse proprietà nel Piacentino e precisamente a Bersano, Villanova e Sant'Agata - si trasferisce a Roncole nel 1791, dove decide di gestire insieme alla famiglia, l'osteria del piccolo borgo e dove Verdi nasce nel 1813, a pochi chilometri da Busseto. Gran parte della sua vita - poi - sarà, comunque, caratterizzata dalla quiete della villa di Sant'Agata di Villanova. Nel 1851, Verdi lascia definitivamente Busseto, ove era tornato verso la fine degli anni Quaranta dopo diversi anni vissuti a Milano, dove aveva mietuto successi e consensi. Egli infatti non ama i bussetani, troppo pettegoli e troppo curiosi sul suo rapporto con la Strepponi, e sposta la propria residenza a Sant'Agata, dove compone gran parte delle sue opere e dove svolge, oltre che l'attività di musicista anche quella di imprenditore agricolo.
Banca di Piacenza
A Piacenza coltiva amicizie (poche, ma sincere), nel 1889 viene eletto consigliere provinciale nel collegio di Cortemaggiore (del 1879 al 1884 era stato eletto consigliere comunale di Villanova, di cui finanziò la costruzione dell'ospedale, inaugurato nel 1888). Il resto sono i viaggi, le soste a Fiorenzuola, le brevi tappe a Piacenza all'albergo San Marco (a pochi passi da piazza Cavalli) e i tanti, tantissimi spostamenti tra Genova, Milano, Parigi, Roma, Londra, Pietroburgo di questo compositore che ha cambiato il linguaggio musicale del nostro tempo, segnando un'epoca.

lunedì 24 settembre 2007

Chiesa di Sant'Agostino

Posta sullo "Stradone Farnese", è la chiesa più imponente della città, l'unica composta da cinque navate. Edificata a partire dal 1550 rappresenta un'opera di assoluto interesse; consiglio quindi, a chi ne avrà la possibilità, di farci una visita la prossima settimana, sfruttando la straordinaria apertura in quanto sede dell'evento "l'Arte di arredare". La manifestazione, iniziata Giov. 20 settembre preseguirà nei giorni 27-28-29-30.
Ne consiglio la visita, in quanto si può visitare un monumento solitamente chiuso al pubblico in quanto sconsacrato e poter ammirare le bellissime esposizioni di design ed arte moderna esposti al suo interno.
Superflio dire che la chiesa sarebbe la sede ideale per tutte le mostre di alto livello, a parer mio molto più indicata rispetto al salone del Palazzo Gotico ormai sede naturale di tutti gli eventi artistici più importanti.



Qui sotto una breve descrizione di S. Agostino, tratto da www.vacanzeitinerari.it
I lavori per il convento di S. Agostino furono iniziati nel 1550, secondo un unico grande progetto che prevedeva la costruzione di tre ampi chiostri e di una chiesa a cinque navate con cupola e «crosere», colonne binate e pilastri accorpati. Gli edifici conventuali, oggi parte della Caserma Cantore non sono visitabili. Particolarmente interessante è il primo chiostro, in cui si è adottato l'ordine tuscanico nelle logge inferiori e una serie di serliane per quello superiore. La chiesa (1570-87) fu costruita dal piacentino Bernardino Panizzari, detto il Caramosino, a cui è tradizionalmente attribuita anche I'ideazione del progetto architettonico, riferibile invece, secondo studi più recenti, a Cristoforo Lombardo, un architetto milanese aggiornatosi sull'opera di Giulio Romano, autore di una serie di edifici particolarmente significativi e che presentano soluzioni simili a quelle adottate a s. Agostino. Preceduta da una facciata neoclassica, eretta tra il 1786 e il 1792 seguendo i disegni di Camillo Moriggia (Ravenna 1743-1795), autore, tra l'altro, del sepolcro di Dante a Ravenna, la chiesa è stata recentemente restaurata. L 'interno, a cinque navate, separate da coppie di colonne in granito e da pilastri accorpati, dalle linee maestose e solenni, rivela interessanti soluzioni spaziali nel sistema delle coperture delle ali laterali e all'incrocio del transetto, sormontato da una grandiosa cupola.
Con la soppressione dei Canonici Lateranensi la chiesa fu spogliata dei suoi arredi, in parte riutilizzati in altre chiese cittadine e del territorio (l'altar maggiore e alcune strutture marmoree delle cappelle laterali si trovano, per esempio, nella parrocchiale di Rivergaro). Sono inoltre esposti al Museo Civico la fontana del Mosè e la splendida statua lignea di S. Agostino del XVIII. Conservano invece la loro ubicazione originaria, seppure mutilate dalle truppe francesi, le calibratissime decorazioni in stucco e le statue, opera di Giulio Mazzoni (Piacenza 1525 c.-1589 c.), formatosi a Firenze e a Roma (fu allievo del Vasari e di Daniele da Volterra), rientrato a Piacenza nel 1576 dove fu impegnato nei più importanti cicli decorativi. Dell'originale decorazione affrescata, che doveva coinvolgere tutta la struttura del tempio, rimangono alcune tracce rilevanti. La complessità del programma è testimoniata dal transetto destro, nella cui lunetta, ai lati della serliana, fu affrescata un' Annunciazione da G.B. Trotti detto il Malosso (Cremona 1556-Parma 1619), discepolo di Bernardino Campi, impegnato lungamente a Piacenza (1583-1615). Formatosi alla scuola cremonese fu poi influenzato dagli esiti correggeschi approdando ad una pittura devozionale rigorosamente attenta ai principi tridentini, con soluzioni vicine a quelle del Barocci.
È andato purtroppo perduto nei bombardamenti del 1945 l'affresco del refettorio, opera di Giovan Paolo Lomazzo (Milano 1538-1600) noto per il celebre trattato sulla pittura e i suoi rapporti con Leonardo.

martedì 18 settembre 2007

Palazzo Anguissola Rocca

L'edificio è della metà del settecento, per eleganza, ricchezza e pregio artistico è sicuramente uno dei palazzi patrizi più importanti della città. La facciata è posta su Via Giordani, mentre un'altro lato s'affaccia su Piazza S. Antonino. Di grande impatto scenografico è il cancello in ferro battuto, che lascia intravedere il cortile ed il giardino interno. Prendo spunto per parlare del Palazzo "Anguissola Rocca", da un articolo tratto da www.liberta.it, dove viene data la notizia, che l'associazione Piacenzarte avrà come propria sede, il salone d'onore al piano rialzato, dove promettono di promuovere eventi culturali come mostre, concerti e salotti letterari. Questa può essere un'ottima occasione per far conoscere e rendere al servizio della città un nuovo bellissimo spazio culturale.




di ANNA ANSELMI tratto da www.liberta.it
Torna a rivivere il sontuoso salone delle feste di Palazzo Anguissola di Cimafava-Rocca, aprendo le porte al pubblico, a conclusione degli ultimi, impegnativi restauri. Dopo la giornata inaugurale, sabato 29 settembre (ingresso a inviti), la giovane associazione Piacenza Arte ha infatti intenzione di ospitare, negli spazi settecenteschi della nobile residenza, conferenze, concerti e, in generale, iniziative culturali, a partire dalla contiguità con una delle istituzioni cittadine più importanti: il Teatro Municipale. Palazzo Anguissola di
Cimafava si trova infatti all'angolo tra via Giordani e piazza Sant'Antonino, di fronte al quasi coevo massimo teatro piacentino. «L'associazione si è costituita nel 2005, ma - spiega la presidente
Carla Romana Raineri - per renderla operativa abbiamo dovuto aspettare il completamento dei lavori, avviati cinque anni fa». Carla Romana Raineri, magistrato al tribunale di Milano, è proprietaria di una parte dell'immobile, frazionato in passato tra più condomini, accanto alla porzione mantenuta dalla famiglia Nasalli-Rocca. Piacentina - il bisnonno paterno era l'agronomo, giornalista e uomo politico Giovanni Raineri, il padre della nonna paterna era il basso Cesare Melzi -trasferitasi da tempo a Milano, Carla Raineri spera molto nel ruolo di catalizzatore culturale che un luogo come Palazzo Anguissola di Cimafava può giocare all'interno del centro storico. In una posizione per altro strategica, a pochi passi da piazza Cavalli, piazza Duomo, il conservatorio "Nicolini"... La sede dell'associazione sarà al piano nobile dell'edificio, in un
appartamento che alterna stanze con affreschi ottocenteschi (scene con cavalieri) ai delicati stucchi tra le grottesche dipinte nel '700. «Le idee sono tante. Il filo conduttore dovrebbe essere la musica, ma
affrontando anche temi di approfondimento che attraversano diverse discipline, ricreando una sorta di salotto letterario». All'inaugurazione, Paolo Bosisio, direttore artistico di Piacenza Arte, nonché docente ordinario di storia del teatro all'università di Milano, presenterà il programma iniziale dell'associazione, che haintanto cominciato a collaborare con il "Nicolini" e il suo direttore, Fabrizio Garilli. Alcuni allievi si esibiranno in quartetto d'archi proprio in occasione del vernissage, nel cortile e nel salone delle feste di Palazzo Anguissola-Rocca. Il sito internet di Piacenza Arte (www.piacenzarte.it) consente già di "entrare" virtualmente nell'edificio e di conoscerne per cenni la storia, insieme agli ultimi
lavori. Il restauro è stato diretto da Piergiorgio Armani, architetto,
e Alberto Catulli, ingegnere, sotto la supervisione della Soprintendenza per i beni architettonici. Lo scalone, dalla balaustra in granito di Baveno, e l'affresco sul medaglione della volta ("Alessandro tra Giove e Mercurio" del milanese Federico Ferrario) sono stati affidati alle cure della restauratrice Alessandra D'Elia.
Non si conosce con sicurezza il nome dell'architetto che disegnò il palazzo nel secolo XVIII, accorpando più case preesistenti, appartenenti a vari membri della famiglia Anguissola, tra le più antiche del Piacentino.
Giorgio Fiori, nel quarto tomo dell'opera "Il centro storico di Piacenza", dedicato al quartiere di Sant'Antonino, precisa come il ramo principale della famiglia riuscì a riunire le diverse abitazioni nelle proprie mani tra il 1726 e il 1727, senza peraltro arrivare fino a piazza Sant'Antonino, meta raggiunta soltanto ai primi dell'800, quando erano già subentrati i Rocca. Nel 1752 Ottaviano e Giovanni
Anguissola sottoposero ad approvazione un progetto, redatto - ipotizza Fiori - dal loro tecnico di fiducia, Gianandrea Boldrini, ingegnere ducale dal 1775. Attribuzione che veniva avanzata anche da Anna Maria
Matteucci nei "Palazzi di Piacenza. Dal barocco al neoclassico", evidenziando le affinità nel «dilatarsi dell'atrio» e nella «grafia elegante delle volte» con Palazzo Mandelli, per il cui progetto si fa lo stesso nome di Boldrini. Tipologicamente Palazzo Anguissola di Cimafava, sviluppato su uno schema a U, è memore di soluzioni adottate in area lombarda, come «gli archi che reggono la cancellata verso il giardino e il percorso pensile che unisce le due ali».

lunedì 10 settembre 2007

Collegio Alberoni Piacenza

Situato lungo la Via Emilia Parmense a Piacenza, deve la sua creazione al Cardinale Giulio Alberoni. Il collegio è un punto di riferimento culturale importante per tutta la cittadinanza, grazie agli innumerevoli tesori che il palazzo settecentesco custodisce; dagli arazzi fiamminghi, alla preziosa pinacoteca, fra cui spicca il celebre "Ecce Homo" di Antonello da Messina. Di grande importanza anche la fornitissima biblioteca e l'osservatorio astronomico.

L'unica nota dolente è data dal fatto che la struttura è privata ed il museo è visitabile solo su prenotazione, quindi non rientra in nessun pacchetto turistico e questo è davvero un peccato, perchè il collegio con tutti i suoi tesori merita visibilità e può essere una valida attrazione per incrementare la notra offerta turistica, che è ricchissima ma ancora poco organizzata.

Una breve storia sul Collegio Alberoni (fonte wikipedia)

http://it.wikipedia.org/
Il Collegio Alberoni è un vasto complesso architettonico, situato a Piacenza. È un seminario dotato di una Pinacoteca, un Osservatorio Astronomico, un Museo di Scienze Naturali, una biblioteca e la chiesa di San Lazzaro.

Deve il suo nome al Cardinale Alberoni che, dopo il sostegno fornito a Clemente XII, fu nominato amministratore dell'ospedale di San Lazzaro di Piacenza, nel 1740. L'ospedale era una fondazione medioevale a beneficio dei lebbrosi. Essendo la malattia scomparsa dall'Italia, Alberoni ottenne il consenso del Papa per la soppressione dell'ospedale, che era caduto in stato di grande disordine, e istituì al suo posto un collegio per l'educazione al sacerdozio di settanta ragazzi poveri, con il nome di Collegio Alberoni. Il Collegio aprì il 18 novembre del 1751. Alla sua morte il Cardinale Alberoni lasciò una somma di 600.000 ducati in dote al seminario da lui fondato. Il collegio prosperò e sebbene sorto precipuamente per la formazione del clero, l'istituto ha annoverato fra i propri alunni scienziati, ingegneri, giuristi e medici, filosofi, eruditi e uomini politici di nota. Si sono formati fra le mura di questa istituzione personaggi quali Gian Domenico Romagnosi, Melchiorre Gioia, Giuseppe Taverna, Alfonso Testa e Stefano Fermi, padre della scuola storica piacentina. Un discreto numero di seminaristi furono elevati alla Porpora Cardinalizia: i cardinali Agostino Casaroli, Silvio Oddi, Opilio Rossi, Antonio Samoré; Luigi Poggi

Antonello da Messina - Ecce - Homo 1473


Oltre ad ospitare i seminaristi, dispone di una ricchissima biblioteca e di un osservatorio astronomico; di notevole interesse la Galleria Alberoni, museo che comprende un centinaio di quadri di artisti di prim'ordine tra cui "Ecco Homo" di Antonello da Messina, 18 arazzi antichi (di grande valore due arazzi fiamminghi del primo '500).

mercoledì 29 agosto 2007

Piazza S. Antonino - immaginazione...

Ho tentato di immaginarmi come potrebbe trasformarsi P.zza S. Antonino, uno degli angoli più suggestivi ed artistici della città. A breve, dovrebbero iniziare i lavori di riqualificazione della Piazza. Dopo anni di discussioni, un concorso di idee caduto nell'oblio, forse si è giunti ad una conclusione (come già discusso in un post precedente). Ovvero tornare alle origini, senza giardinetti improvvisati o giochi d'acqua spettacolari, ma con la volontà di riportare la Piazza come era nel passato.
Un consiglio, se mi poso permettere e sempre ammesso che qualcuno legga quest'articolo. Ok il ritorno al passato, ma utilizzate i sanpietrini o un lastricato... i sassi, pur avendo il loro fascino, sono un vero incubo per chi utilizza la bici (vedi via Tibini, via S. Marco, etc)

PS: L'ulivo l'avrei tolto, ma son troppo pigro per farlo. Ammetto che nonostante tutto non mi infastidisce particolarmente.




lunedì 27 agosto 2007

Degrado Cittadino - S. Maria del Carmine

Dopo decenni di totale incuria, forse, per la chiesa del Carmine è arrivata l'ora di un tanto atteso maquillage. la struttura è davvero ridotta male e per anni è stata lasciata in un completo stato di abbandono. Attualmente, le condizioni della bella basilica seicentesca sono a dir poco disastrose con le statue che ornano la facciata ormai completamente erose dal tempo e dall'incuria, mentre l'interno, temo sia stato invaso dal guano dei piccioni che da anni dimorano nella chiesa.
Da segnalare, che da decenni sulla facciata campeggia il cartello "pericolo di crolli", ma ben poco o niente, si è fatto perchè questo non accadesse.
Auspico che questo intento di recupero sia celere e che si pensi ad una sua funzione consona per ospitare eventi o associazioni che permettano alla città di rivivere questi splendidi spazi che da anni sono inaccessibili e che meritano di tornare ai fasti di un tempo.






venerdì 24 agosto 2007

PALAZZO COSTA

Palazzo Costa è uno dei palazzi più importanti e scenografici di Piacenza, edificato nel settecento per opera della famiglia Costa, importanti mercanti di origine genovese.
Il filmato postato qui sotto è del noto videomaker Roberto Dassoni.

Ulteriori notizie ed immagini su questo bellissimo palazzo, le potete trovare sul sito http://www.spaziocosta.it lo spazio polivalente di arte e design che ha la propria sede proprio nelle sale della prestigiosa dimora.

lunedì 20 agosto 2007

Piacenza ed i suoi palazzi

Una peculiarità di Piacenza sono i suoi palazzi nobiliari, tanto belli, quanto ignorati e purtroppo nascosti. Come infatti evidenziato nel post precedente (P.L.A.C-La congiura di Piacenza), Piacenza e la sua provincia potevano contare su un alto numero di famiglie patrizie, le quali ognuna di queste, avevano i propri palazzi in città ed i relativi castelli in provincia. Ben poche, sono le città delle dimensioni di Piacenza, che possono vantare un così alto numero di palazzi signorili all'interno del proprio centro storico. Come già detto, tali edifici essendo abitazioni private vengono spesso ignorati dagli itinerari turistici, che ovviamente si soffermano sui nostri monumenti e luoghi più rappresentativi (P.zza Cavalli, Palazzo Farnese, P.zza S. Antonino, il Duomo, etc.), ma con la collaborazione dei rispettivi proprietari, si potrebbero davvero studiare percorsi alternativi da quelli abituali. A volte, grazie alle iniziative del F.A.I. i cortili ed i giardini di queste dimore sono stati aperti al pubblico, ma per ovvie ragioni, questi sono eventi straordinari, in cui solo pochissime persone hanno l'opportunità di parteciparvi. Ammetto che questa richiesta è di difficile attuazione, ma per chi come me è appassionato della nostra storia, sarebbe bellissimo avere la possibilità di vedere e scoprire tutti i tesori nascosti che la nostra città custodisce. A volte troppo gelosamente.


Palazzo Scotti da Sarmato

martedì 7 agosto 2007

P.L.A.C. - la congiura di Piacenza

P.L.A.C. è l'acronimo di: Pallavicino, Landi, Anguissola e Confalonieri, le quattro famiglie nobili che, spinte da Ferdinando Gonzaga, misero in atto l'omicidio contro Pierluigi Farnese, duca di Parma & Piacenza. Uomo odiato dalla nobiltà piacentina e dalla sua popolazione, famoso per la sua spietatezza e crudeltà.
L'omicidio fu effettuato nella cittadella farnesiana, morì sotto le pugnalate del conte Anguissola e poi mostrato alla folla e gettato nel fossato della rocca.

Qui sotto, alcuni cenni di vita di Pierluigi Farnese, tratti da: http://it.wikipedia.org

Pier Luigi Farneseritratto da Tiziano (Museo Capodimonte - Napoli).

Pier Luigi Farnese
ritratto da Tiziano
(Museo Capodimonte - Napoli).

Pier Luigi Farnese (Roma, 19 novembre 1503 - Piacenza, 10 settembre 1547) fu il primo duca di Castro e il primo duca di Parma e Piacenza.

Pier Luigi jr. (per distinguerlo dal nonno Pier Luigi sr.), nacque dal cardinale Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III e, probabilmente, da Silvia Ruffini, gentildonna romana che avrebbe dato al futuro papa altri tre figli: Costanza, Paolo e Ranuccio. Questa sua origine non legittima lo tormentò per tutta la vita, e contribuì, in modo forse determinante, alla formazione del suo carattere. Per indicarlo, i nobili piacentini lo chiamavano con disprezzo "il bastardo del papa".

La carriera militare di Pier Luigi fu molto varia; sarà coinvolto su più fronti e al soldo di più padroni; a volte combatterà contro gli stessi familiari e addirittura contro il papa, abbandonando la tradizionale posizione guelfa dei Farnese. Non fu un semplice soldato o mercenario, fu lo stereotipo del guerriero: selvaggio, primordiale, amorale. Non gli mancarono coraggio e ardimento: fu forte, audace e risoluto, addirittura eroico, ma a tal punto efferato da ripugnare i suoi stessi committenti.

L'elezione di Paolo III

Improvvisamente una notizia a lungo attesa e forse ormai inaspettata, scosse Pier Luigi dal torpore in cui era ricaduto: nell’ottobre 1534 il padre, cardinale Alessandro Farnese, ascese al soglio di Pietro con il nome di Paolo III. Nella rocca di Valentano si organizzarono grandi festeggiamenti, dopodiché Pier Luigi, abbandonati i piaceri della vita familiare e le battute di caccia partì per Roma. Il primo atto del nuovo pontefice fu la creazione del nipote quattordicenne Alessandro, primogenito del figlio diletto, e del nipote, figlio di Costanza, Guidascanio Sforza, cardinali.

In politica estera il nuovo papa osservava la regola dell’equidistanza tra Francia ed impero. Tuttavia Carlo V lasciò intravedere al pontefice che avrebbe dato volentieri a Pier Luigi la città di Novara. Paolo III, invece, accettò per il figlio una pensione annua a condizione che non divenisse di pubblico dominio e, per il nipote Alessandro, il ricco arcivescovato di Monreale in Sicilia.

Il Ducato di Parma e Piacenza

L'ambizioso Pier Luigi, ambiva a qualcosa di più grande e di più autonomo rispetto alla Chiesa. Nella sua mente c’erano il ducato di Milano, la città di Siena o Piacenza.

Il papa, dopo il rifiuto di Carlo V di infeudare Pier Luigi con Milano, decise di investire il figlio e la sua discendenza del ducato di Parma e Piacenza, togliendo ad Ottavio Camerino e a Pier Luigi Nepi. La proposta di investitura fu fatta nel concistoro del 12 agosto 1545 e la votazione avvenne in quello del 17 agosto, non senza contrasti. Però, dopo che il camerlengo, Guidascanio Sforza, dimostrò che Parma e Piacenza rendevano 7.500 ducati l’anno, mentre Camerino rendeva 10.000 ducati e che in 10 anni il ducato di cui si parlava era costato alla Camera Apostolica la bellezza di 200.000 ducati, la votazione risultò favorevole alla decisione di Paolo III, che obbligò Pier Luigi a pagare un censo annuale di 9.000 ducati alla Camera Apostolica ed a cedere il ducato di Castro ad Ottavio, facendogli in questo modo riconoscere di essere un vassallo della Chiesa.

La dipendenza feudale del ducato di Parma e Piacenza dalla Santa Sede avrebbe costituito per più secoli (e ancora al congresso di Vienna) un motivo di rivendicazione da parte della Curia Romana, e di dispute tra quest'ultima e (passata poi Parma ai Borboni) gli stati borbonici: l'episodio più acuto di tale scontro fu probabilmente quello che avvenne, nel Settecento, con papa Clemente XIII.

Il duca prese possesso dei suoi stati il 23 settembre del 1545 e, non mostrando alcuna riconoscenza verso il papa, considerando il merito della formazione del ducato tutto suo, cercò di trasformare il vassallaggio in favore dell’imperatore, ma lo stesso Carlo V rifiutò.

I primi provvedimenti a cui mise mano furono: l’apertura di numerose scuole in cui si insegnavano la medicina, il diritto e la letteratura latina e greca; la costruzione di nuove vie di comunicazione per favorire il commercio; la riforma del sistema amministrativo prendendo spunto dal modello milanese; la riforma del sistema giudiziario in forma più garantista: i giudici dovevano motivare gli arresti.
Diede forte slancio all’agricoltura abolendo la tassa sul bestiame, riparando strade rurali, ricostruendo o restaurando ponti e migliorando il regime delle acque. Per l’industria ed il commercio migliorò le comunicazioni tra le varie regioni del ducato e sviluppò il servizio postale.

Per riassestare il bilancio assoggettò tutti gli abitanti al pagamento delle tasse e soppresse le esenzioni ingiustificate. Per poter raggiungere tale scopo ordinò ai preti di censire tutti i parrocchiani dai 10 ai 70 anni d’età; da ogni parrocchia furono eletti tre rappresentanti, uno ricco, uno di modesta fortuna ed uno povero; costoro avrebbero dovuto censire i beni mobili, immobili ed il bestiame di ogni parrocchiano. Con tale metodo il duca venne a conoscenza delle ricchezze di ogni abitante e fu in grado di ripartire equamente le cariche pubbliche e le tasse.

Per garantire la sicurezza dello stato, Pier Luigi creò delle legioni composte da cinque compagnie di 200 fanti ciascuna ed una guardia personale. Non tralasciando il suo pallino che era la costruzione di una fortezza a Piacenza. Del disegno dell’opera fu incaricato Domenico Giannelli. Il piano fu sottoposto alla revisione del San Gallo e di Michelangelo, che lo approvarono con poche modifiche l’11 novembre 1545. La nuova fortezza doveva essere un baluardo contro gli spagnoli ed un ammonimento contro coloro che criticavano la sua politica di riforme.

Pier Luigi sapeva bene che i nobili lo odiavano e che la borghesia ed il popolo non lo avevano molto in simpatia, così, per avere un controllo più saldo della situazione, decise che chiunque avesse una rendita superiore a 200 scudi avrebbe dovuto risiedere in città, pena la perdita dei beni.

Tutte queste precauzioni non erano inutili perché Carlo V, che nel frattempo era diventato ostile al papa, non aveva gradito la cessione del ducato a Pier Luigi. A causa di questa rottura, inoltre, erano ricominciate a formarsi le fazioni guelfa con il papa, la Francia, Venezia, Parma e Ferrara e quella ghibellina con l’imperatore, la Spagna, Genova, i Medici e i Gonzaga.

La congiura di Piacenza e la tragica morte

Fu proprio Ferdinando Gonzaga, conosciuto in Italia come Don Ferrante, governatore di Milano, che, avendo appreso che l’imperatore voleva appropriarsi del ducato di Parma e Piacenza alla morte del papa, decise di colpire i Farnese verso cui covava un odio mortale.

Gonzaga iniziò a far spiare Pier Luigi ed a mandare rapporti continui a Madrid ed a Carlo V. Pier Luigi, da parte sua, consapevole che alla morte del padre la bufera si sarebbe abbattuta su di lui, non rimase con le mani in mano; il 4 giugno 1547 fece sposare la figlia Vittoria con il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere; alla fine dello stesso mese stipulò il contratto di fidanzamento tra il figlio Orazio e la figlia del re di Francia, Enrico II, Diana; e continuò alacremente i lavori di fortificazione del suo ducato.

Carlo V, preoccupato per il procedere dei lavori a Parma, si convinse a lasciare mano libera a Don Ferrante per organizzare una congiura contro il duca.

Già il marchese Pallavicini di Cortemaggiore, fuoriuscito a Crema, aveva offerto il suo braccio e quello dei suoi amici al Gonzaga, ma questi rifiutò perché costui era sotto la stretta sorveglianza delle spie dei Farnese. Preferì invece affidarsi al suo lontano parente Luigi Gonzaga, signore di Castiglione, e al di lui cognato conte Giovanni Anguissola, che si impegnò a trovare altri congiurati tra la nobiltà parmense. L’Anguissola riuscì a convincere il conte Agostino Landi, il marchese Giovan Luigi Confalonieri e i marchesi Girolamo e Alessandro Pallavicini.

"Nel fatal giorno 10 settembre 1547, trovandosi Pierluigi nella vecchia cittadella di Piacenza, furono presi i posti, trattenute le poche guardie tedesche, ed alcune uccise dai congiurati. Il conte Anguissola entrò risoluto nella stanza ov'era il duca, a cui tante pugnalate si calarono sinché diè segno di vita. Aperta la finestra che più riguarda verso la piazza egli, l'Anguissola, ed il Landi mostrarono il cadavere al popolo gridando libertà e Impero, e quindi lo piombarono giù nella fossa. Questa tragedia compiuta, furono introdotti in città i soldati imperiali che stavano in aspetto nelle vicinanze, e il giorno di poi D. Ferrante Gonzaga venne a prenderne possesso per Cesare" (dal Vocabolario topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, di Lorenzo Molossi, Parma, dalla tipografia ducale, 1832-34, pag. 317-8).

Dopo la morte del figlio, il papa riunì il concistoro ed accusò Don Ferrante della sua morte, ridicolizzando le motivazioni che adduceva per l’occupazione di Piacenza, dopodiché dichiarò espressamente che Ottavio sarebbe stato il nuovo duca ed il nuovo Gonfaloniere della Chiesa.

Di lui è stato detto, come di Caravaggio, "morì male così come era vissuto".

Il suo corpo fu ricomposto e sepolto a Piacenza, prima in una chiesa, poi in un'altra; in seguito la salma fu fatta traslare a Parma dalla moglie Gerolama Orsini e infine fu trasferita nella tomba di famiglia sull'isola Bisentina, dove dopo la morte lo raggiunsero anche la moglie e il figlio cardinale Ranuccio.

Pier Luigi Farnese ebbe dalla moglie Gerolama Orsini quattro figli: Ottavio, che gli succederà a capo del ducato, Alessandro, che fu vescovo di Parma e cardinale, Ranuccio, lui pure cardinale, e arcivescovo di Napoli, e Vittoria, che andò sposa a Guidobaldo II, duca d'Urbino. Ebbe poi anche un figlio naturale, Orazio che sposò Diana d'Angoulême, figlia naturale del re di Francia Enrico II.