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giovedì 21 settembre 2017

A tòc e bucòn parlùm ad… plattòn e scupplòn

A tòc e bucòn parlùm ad… plattòn e scupplòn
di Claudio Gallini


In questo nuovo appuntamento della nostra rubrica dedicata al dialetto piacentino, vorremmo trattare di scappellotti e scapaccioni, che il dizionario della lingua italiana Garzanti, edizione 2006, definisce in questo modo:

“colpo dato a mano aperta dietro il capo, soprattutto per punire i bambini (e talora con intenzione scherzosa)”.

(fonte immagine: https://godete.files.wordpress.com)
Quest’azione nel dialetto piacentino assume davvero diverse sfumature e cercheremo di raccogliere quelle più soventemente utilizzate.

Iniziamo con plattòn e con il relativo dialettismo locale “plattone”, il più nostrano di tutti i termini per indicare il classico schiaffo, magari preso da papà per una marachella o dalla fidanzata per ragioni che non andremo ad approfondire.

Vediamo un chiaro esempio:

Ciappä dü bèi plattòn dal papä, ossia, prendere due bei scapaccioni da papà.

Il lemma plattòn ha generato poi il suo abbreviativo pattòn, con identico significato, plattäda ossia una serie di sberle, ed il verbo plattä che potremmo tradurre in una sorta di cacofonia con, “scapaccionare”.


Un’altra espressione molto usata in tal senso è quella di quest’esempio:

Ciappä un bèl scupazzòn, cioè, ricevere un bel scapaccione.


La parola scupazzòn ha poi originato: scupazzäda ossia una serie scapaccioni e scupàzza che è sinonimo di scupazzòn.

Un altro modo a Piacenza per dare uno scappellotto a mano aperta è la classica, manatä una percossa già insita nel termine… una “manata”.


La carrellata degli schiaffi prosegue con: cuppòn, scòpla, scuccìn, scupplòt, scupplòn, scüffiòt, marlein e chi più ne ha più ne metta.



Voi ne conoscete altri di modi per indicare uno scapaccione?









Claudio Gallini è perito industriale ma appassionato studioso di storia locale, e di dialetti soprattutto dell’alta val Nure dove risiedono le sue radici.

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