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mercoledì 1 gennaio 2020

La Piacenza dell'Ottocento descritta da Luciano Scarabelli

a cura di Claudio Gallini





Con questo articolo vogliamo riportare una breve ma interessante descrizione della Piacenza di metà Ottocento, elaborata dallo storico e politico di origini piacentine Luciano Scarabelli (1806 – 1878) nella prefazione della sua opera: “Guida ai monumenti storici ed artistici della città di Piacenza”, edita nel 1841.

A seguire, nella stessa prefazione, lo Scarabelli intraprende alcune riflessioni degne di nota che ripercorrono, in poche righe, la storia di Piacenza; valutazioni che saranno qui ricopiate poiché contengono delle notizie inedite e molto curiose.

Lo Scarabelli è ricordato tra gli studiosi “autodidatti” più importanti della nostra città nell’Ottocento che riuscì addirittura a portare alle stampe oltre le cento pubblicazioni che spaziano dalla storia dell’arte sino alla filologia, passando per la paleografia.

Egli, amico del letterato piacentino Pietro Giordani, fu anzitutto insegnante di scuola primaria a Piacenza, poi fu trasferito a Parma, successivamente a Firenze e nel 1848 insegnò presso il Collegio Nazionale di Genova per poi passare, undici anni più tardi, all’Accademia delle Belle Arti di Milano.

Nel 1861 fu nominato deputato del Consiglio di Spoleto e alla Camera ove s’impegnò al miglioramento della scuola; nel 1874 riprese la sua carriera d’insegnante presso l’Accademia delle belle Arti di Bologna e, una volta in pensione, ritornò a Piacenza con l’incarico di riordinare l’Archivio Storico Comunale.

Luciano Scarabelli morì a Piacenza nel 1878.




Un'immagine di Luciano Scarabelli prelevata dalla rivista: "Archivio Nisseno, Anno I numero I, Caltanissetta, 2007".






Dalla prefazione dell'opera: Guida ai monumenti storici ed artistici della città di Piacenza di Luciano Scarabelli riportiamo i seguenti scritti.


“Piacenza è città antica sulla destra del Po [...] a metri 66,27 sopra il livello del mare Mediterraneo. A cielo più spesso lucido e sereno il termometro sale di state sino a gradi 29 e 30 di Reaumur e discende il verno anche a 7 od 8 sotto zero.”

(La conversione dalla scala Reaumur alla scala Celsius ci porta le seguenti temperature: Estate tra 36,25 a 37,5 °C, mentre in inverno tra -8,75 e -10 °C).


“Cinta di mura tiene adito da quattro porte di San Lazaro a mattina, di Borghetto a settentrione, di Sant'Antonio a sera, di San Raimondo a mezzodì. Fra questa e la porta di Sant'Antonio è il castello colla entrata dalla città e l'uscita alla campagna; fra quella di San Lazaro e di Borghetto è la porta di Fodesta, così denominata da un canale che vi scorre presso dalla città. Essa fu chiusa nel 1684 resa inutile dal mancare affatto le terre a cui metteva innanzi che fossero ingoiate dal Po, il quale al presente scorre dalla città a due trar di fucile, trattenute dal rodere la sponda per un pennello a prismi di calce e pietre, residuo di tre costrutti per la città nel 1698 forse dal matematico Macrini, e non dal Guglielmini che anzi era sconsigliante, e da una cordonata di eguale materia tirata nel 1775 lungo la riva. La città è divisa da mattina a sera in due preture”.

(Domenico Guglielmini [1655-1710] fu ingegnere e medico bolognese, e Cesare Macrini fu un matematico gesuita professore a Ferrara).





Pianta della città di Piacenza / E. Azzi rid. rip. e dis., 1833; inc. nello Studio Toschi.


"Ha 33 parrocchie con 4200 case e non più di 28700 abitanti nella periferia di metri 8500, ossiano quattro miglia e mezzo geografiche. Ha le strade illuminate nella notte da fanali a riverbero sino dal 1807".

"I quartieri sono stati numerizzati in tavolette di pietra nel 1795 e le case in tavolette di mattoni il 1803 a strada per istrada in numeri pari a sinistra, e impari a destra per chi parte dal centro della città che è la piazza de Cavalli. Le vie sono pure segnate dei nomi loro sugli angoli de crocicchi; cominciate a incidersi le lastre all'uopo nel 1803 non sono ancora finite tutte quante nel corrente anno 1841".

"Il suolo è ubertoso e le campagne sino ai colli deliziose e le sarebbero anche più se le acque che danno la Trebbia, il Tidone, la Nure, il Rio, la Chiavenna e l'Arda, e le molte sorgenti che si presentano, fossero tutte raccolte e mandate sui fondi. Al che ottenere ci vorrà gran tempo imperocchè quivi lo spirito di associazione è nullo, e in quest opere non può un Uomo solo".

"I dintorni della città sono piantati di salci, e non d'ulivi come scrisse ingannato da qualche sciocco o maligno il viaggiatore Lalande. La quale bellezza ed ubertà di suolo cominciò un cento quindici anni avanti Cristo, quando furono asciugate le paludi, e tagliati i boschi stendentisi per la pianura".

Lo Scarabelli si riferisce all'astronomo francese Jérôme Lalande che intraprese un tour in Italia nella seconda metà del Settecento e pubblicò, nel 1769, l’opera in più volumi intitolata: Voyage d'un François en Italie fait dans les années 1765 et 1766.


"Chi volesse rintracciare l'origine della città e del primi abitatori si perderebbe come il P. Bardetti in un mare di congetture. I fatti storici primamente chiari sono di 230 anni av. Cr., del tempo in cui i Galli discesero dalle Alpi, e occupate le terre italiane tra queste e l'Appennino, le nominarono Gallia Cisalpina, che divisero poi in Traspadana, per quella posta alla sinistra del Po, e Cispadana per questa da noi piacentini abitata. La quale ebbe anche il nome di Togata dal l'abito venuto in moda agli abitatori per una colonia di soldati romani quivi spedita a conservazione delle nuove conquiste che Roma aveva operato e per trattenere i Galli da altre minacciate discese".

"I punti di s. Sisto, s. Brigida, Sopramuro, Duomo e s. M. in Gariverto segnerebbero il circuito alla città che racchiuse i vecchi abitatori mescolati coi Galli e coi Romani. La quale era certo d'assai considerazione poiché ebbe col presidio romano potenza di respingere ferito Annibale già vincitore de Consoli a Trebbia, allora che assali furioso un emporio de Piacentini, e resistere tanto ad Asdrubale da fargli consumare le forze proprie, e gl'interessi del fratello Annibale".



Carta idrografica della provincia di Piacenza - G. Trabucco 1845


"Trent'anni da poi era stata condotta colonia. Lepido condusse insino a Piacenza e quindi continuò a Milano, Brescia e Verona la grande strada che tiene tuttora il suo nome, che cominciando a Rimini ed unendosi alla Flaminia conduceva fino a Bologna, e che era per tanto mezzo eccellente a tenere comunione fra le principali città delle nuove conquiste romane. Questa strada recò utile inapprezzabile quando fra settant'anni Scauro di mano ad arginare i torrenti, ad aprire nuovi canali, ad asciugare paludi, impiegando all'opera i soldati, che altrimenti, infiacchiti dell'ozio, sarebbero divenuti di peso alla repubblica".

"Le terre fatte in poco tempo fruttifere diedero molta prosperità alla colonia, la quale fu così pregiata dalla madre patria che le concesse di sedere nel senato di Roma e di aver parte nei grandi interessi della repubblica. E qui è da sapersi: le colonie non partecipare a tali onori senz'aver dato buoni saggi di fedeltà e grandi servigi. Piacenza allora che fu dedotta colonia non ebbe altro diritto che il latino, il quale permetteva il titolo e le prerogative di cittadino romano a lui che avesse esercitato l'annua magistratura nella colonia. La ricchezza venuta dall'industria ai nuovi abitatori e la fede conservata alla madre-patria meritarono alla colonia il diritto romano, e i godimenti dei privilegi al titolo aderenti".

"Il popolo si divise in decurie: i decurioni formarono il Senato, e dal Senato ogni anno si trassero i Quartumviri per la giustizia. I coloni divennero cittadini romani e furono ascritti alla tribù Voltinia, ma dovettero governarsi colle leggi materne. In poco di tempo la popolazione e la pecunia pubblica crebbero sì che la colonia potè soccorrere validamente d'uomini e di danaro i romani venuti in istremo d'ogni cosa e disperati per la disfatta di Canne; e quantunque Piacenza fosse stata poco appresso improvvisamente da Amilcare saccheggiata ed arsa, si levò presto rifatta più forte: ed ottenuto strade e canali, e come dianzi notammo prosciugamento di paludi, divenne ricchissima ed importante sì che Roma le concesse di reggersi a Municipio con leggi proprie e particolari statuti".

"Nè tanta importanza politica le venne poi meno; conciossiachè, lasciando stare che Cicerone riconosce il suo richiamo in patria dal valido sostenere che fecero i piacentini la sua causa in Senato, Piacenza fu metropoli della Gallia Togata al tempo dei Cesari, e della Emilia a quello degl'Imperatori occidentali; convegno de principi italiani (ai prati di Roncaglia nelle Diete dei Re d'Italia), e degl'im peratori franchi e tedeschi; e poco appresso, e più volte, dei Rettori e 4 deputati della lega Lombarda; poi sede di un legato in tempo di pontificale governo, quindi del Principe allor che fu eretta in ducato, e finalmente una delle quaranta buone città dell'impero vastissimo di Napoleone Bonaparte".

"Ed ora può dirsi la seconda città insigne degli Stati appartenenti a S. M. Maria Luigia. Testimonii di tanto splendore sarebbero molti. Ma due soli ne citeremo in epoche luminose assai fra loro distanti. Pietro Abate di Clugni per stringere Eugenio III nel 1148 a mantener libera Piacenza dalle pretese del Metropolitano Ravennate, chiamavala « città illustre e quasi a niuna d'Italia seconda ». Papa Paolo V in una sua bolla del 24 ottobre 1616 ha un brano altrettanto onorevole, e qui lo pomiamo tradotto nel nostro linguaggio « per l'ampiezza del sito, per la magnificenza de palazzi e delle case, per la salubrità del clima, e l'abbondanza di biade e di tutte cose necessarie all'uso ed al commercio della vita, per l'affluenza del patrizi, de cavalieri, de nobili, e d'altri straricchi d'ogni sorta beni, per molto popolo, e per le fiere solite aprirsi tre o quattro volte l'anno coll'intervento dei a mercanti di quasi tutte le nazioni di Europa è la più celebre fra tutte le altre città della Gallia Cisalpina », (Poggiali, Mem. St., tom. X, pag. 265)".



Piazza de' Cavalli 1866 (Fonte: The British Library).


"Sino a che questa città fu parte dell'impero occidentale godè proprie leggi e molti del magistrati nominò; i Goti lasciaron quelle e tolsero questi. Nella conquista de Longobardi furono liberi i giudizi secondo l'antica forma, quantunque le leggi loro fossero professate da molti; assai parte di territorio fu tolta, divisa e data in feudo ai conquistatori, ai vescovi, ai capitoli de canonici, agli abati del monasteri. E benchè nel secolo X la città riprendesse molta parte di proprio potere ebbe tuttavia a lasciare il civile in mano del suo Ordinario creato Conte della città. Passata pei successori di Carlomagno al tempo in che la Germania fiacca dalle discordie mal poteva difendere la Italia dalle invasioni dei barbari, Piacenza fu delle prime a dilatare ed afforzare le mura, a prendere le armi, a combattere prima per sè, poi per la nazione contro gl'invasori, e poco dopo contro gl'imperatori medesimi tardi sforzantisi di riavere sopra le città italiane una potenza, che non avevano potuto conservare per debolezza politica, e final mente ad erigersi in repubblica con leggi, forze e magistrati proprii come allora che era stata fatta Municipio dai Romani".

"Di quest'ultima età sono i più antichi monumenti che abbiamo, e i primi che prenderemo ad illustrare. Seguiranno gli altri per ragione di età o di ristauro a questi primi di mano in mano succedentisi, di maniera che la cronologia non patisca tortura. E gli oggetti d'arte che sono in parecchi monumenti conservati saranno indicati a piedi della illustrazione loro, per comodo e curiosità soddisfatta a quelli che ad un luogo singolare si volessero tenere al cui uopo abbiamo pensato star bene un indice alfabetico dei nomi degli artisti e delle stazioni delle opere loro, ed un secondo per quelle del monumenti".

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