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sabato 21 marzo 2020

Le lapidi dei Chiostri di Sant'Antonino e del Duomo

a cura di Claudio Gallini






A pochi piacentini, probabilmente anche a quelli che abitano e frequentano il centro storico, è nota una piccola strada che da piazza Sant'Antonino giunge in via San Vincenzo, si tratta di "chiasso Sant'Antonino", come ci indica lo stradario internet di Google Maps.

Dal vocabolario Treccani apprendiamo che con "chiasso", s'intende proprio una strada stretta, una viuzza, seppur la toponomastica ufficiale del Comune di Piacenza identifica questo vicolo con "Chiostri Sant'Antonino".

Con quest'ultima denominazione ritroviamo questa stradina negli annali più illustri che tramandano gli avvenimenti più importanti della nostra città.

Questo luogo protegge, però con poca chiarezza, alcuni fatti che rimangono tratteggiati su un paio di epigrafi che si possono trovare camminando proprio qui e anche nella via dei Chiostri del Duomo.

Il centro storico di Piacenza spesso stupisce con questi angoli di città che, durante una qualsiasi passeggiata, proiettano il visitatore in un borgo dal sapore più antico dove le alte mura rossastre, i mattoni fissati con della calcina centenaria, i vecchi portoni e l'ombra di un pergolato, gli nascondono la modernità che sta appena al di fuori da questo microcosmo.

Uno scorcio sul caratteristico vicolo piacentino denominato: "Chiasso Sant'Antonino" o "Chiostri Sant'Antonino" che collega l'omonima piazza con la via San Vincenzo. (Foto di Claudio Gallini).


In una di quelle passeggiate spensierate, dove la fretta quotidiana deve rimanere a casa, il sottoscritto ha colto la presenza di una particolare epigrafe di marmo rosa installata a circa tre metri da terra in mezzo a due grandi finestre di un'abitazione posta in questo vicolo (si veda la foto qui sopra).

L'epigrafe riporta queste parole:

“Avviso. Per ordine della Sag. Congregazione dell’Imm. Ecc. diretto a Monsig. Vesc. di Piacenza sotto li 27 Marzo 1717 si sono dichiarate profanate queste case e siti adiacenti, come più diffusamente apparisce dagli atti della Cancellaria Vescovale il dì 15 Aprile 1717”

Chissà cosa sarà mai successo di così grave, mi chiesi, per meritare addirittura l'apposizione di una targa in un luogo profanato proprio nei pressi di una chiesa così importante!

In quell'anno Piacenza si trovava ormai nel periodo finale della dinastia Farnesiana con Francesco Farnese al comando, il settimo e penultimo duca del Ducato di Parma e Piacenza, mentre la nostra Diocesi  era guidata dal lodigiano monsignor Giorgio Barni.

Per trovare qualche notizia ufficiale su questi fatti avvenuti oltre trecento anni fa, partii da un interessante articolo pubblicato su Libertà del giugno 1968 e firmato dal compianto storico locale Giorgio Fiori, che ebbi tra l'altro il grande piacere di conoscere.

Egli scrisse che la città di Piacenza, nonostante fu da sempre rinomata per l'innumerevole quantità di chiese e oratori fatti erigere, già dal Cinquecento non brillava per quanto riguardava la pubblica e privata moralità, insomma non aveva una candida reputazione!

I parroci del tempo tenevano traccia nei registri, come i liber anniversariorum, liber annualium, liber vitae o liber confraternitatum, dei nomi e delle date di morte di coloro i quali si erano distinti in città per particolari meriti per poi ricordarli nelle messe di anniversario, ma nel contempo era facile individuare, proprio in questi obituari, precise annotazioni di fatti di sangue dove erano spesso coinvolti non solo normali cittadini ma anche stimati nobili piacentini.

La targa, che ritroviamo lungo i Chiostri di Sant'Antonino riporta queste parole: Per ordine della Sag. Congregazione dell’Imm. Ecc. diretto a Monsig. Vesc. di Piacenza sotto li 27 Marzo 1717 si sono dichiarate profanate queste case e siti adiacenti, come più diffusamente apparisce dagli atti della Cancellaria Vescovale il dì 15 Aprile 1717.

Giorgio Fiori scrisse giust'appunto che spesso rimanevano vittime di questi fatti dei nobili che venivano immischiati in risse, oppure alcuni mercanti assediati da ladroni o addirittura anche dei notai uccisi da chi voleva far sparire dei contratti a loro poco vantaggiosi.

Un altro aspetto molto fiorente in quegli anni era invece quello della prostituzione, un fenomeno avvantaggiato dalla costante presenza in città di militari e di ecclesiastici, che lo storico piacentino definì, "senza vocazione".

Nella Piacenza seicentesca era molto frequentata una casa d'appuntamenti comunale, quindi regolarmente gestita tramite appalti, collocata nei pressi di Palazzo Gotico, ma sopratutto era posizionata molto vicino all'abitazione del Governatore, forse fin troppo.

Un po' per questo aspetto di vicinanza, che non era molto gradito dalla famiglia del "Primo cittadino", un po' per le continue liti causate dalle donne al di fuori del postribolo, questa attività "regolarizzata" fu definitivamente chiusa, facendo quindi perdere introiti al Comune, ma ovviamente si spostò altrove, ossia, sulla strada, soprattutto nei vicoli o direttamente a presso i domicili.

La storia locale tramanda inoltre che alcuni di questi vicoli già dal sec. XVII furono addirittura chiusi con cancelli e portoni, quasi per nascondere queste attività o forse per frenare tali comportamenti; sta di fatto che negli atti di morte di queste prostitute il parroco di turno le identificava con un simbolo accanto al nome, per differenziarle dalle altre parrocchiane, seppur molto spesso non ne conosceva il reale nome di battesimo e sul registro compariva pertanto, oltre al segno prima citato, il "nome d'arte", o meglio il soprannome della stessa prostituta.

L'epigrafe posta nei Chiostri della Cattedrale


I registri di morte conservati nel Duomo di Piacenza trovano alcune di queste curiose annotazioni e nel Seicento si contavano una quarantina di prostitute distribuite nei pressi della Cattedrale e nei distretti di Gustafredda e della Trebbiola.

La prostituzione nella Piacenza del tempo non subiva troppe repressioni da parte delle autorità ma si vuole segnalare che nel '600 la Congregazione Parrocchiale di San Nicolò dei Cattanei, che trovava sede all'angolo tra l'attuale via Mazzini con la via San Tomaso e trasformata in abitazione sul finire del sec. XIX, intentò una causa contro una ventina di prostitute della parrocchia, ma senza esito.

Le lapidi poste nel 1717 su due case dei chiostri del Duomo e di Sant'Antonino atte a confermare la loro profanazione, secondo Giorgio Fiori ebbero però una motivazione ben diversa non da ricercarsi nei motivi di moralità e per tale ragione lo scrivente ha voluto approfondire l'argomento scomodando l'annalista del tempo più titolato.

Chi meglio di Cristoforo Poggiali, erudito e storico nato a Piacenza nel 1721, può aver avuto eco di questi fatti? Nessun altro! Nell'ultimo tomo della sua magnifica opera intitolata: "Memorie Storiche della città di Piacenza", troviamo difatti una chiarificazione che appoggia la tesi scritta da Giorgio Fiori.

Riportiamo le parole del Poggiali:

"Efficace, e stabil rimedio pose in quest'anno il Duca Francesco a frequenti, e gravi disordini, che nascevano negli spaziosi Chiostri della Cattedrale, e della Collegiata di S. Antonino, abitazione, una volta di esemplari, e savj Ecclesiastici, quando vivean quivi que Canonici in comune, e ricetto poscia di micidiali, assassini, ed altre persone di mal'affare, che dell' Immunità abusavano goduta da quel Chiostri, a scandalo de buoni, e perturbazion della pubblica quiete. Impetrò egli da Roma, che una porzion di essi Chiostri si demolisse, per aprire a comodo, e sicurezza del Cittadini una pubblica Via; e che si dichiarassero profane, e d'Immunità prive quel le contigue case, le quali necessarie non fossero all'immediato servigio delle Chiese prefate: al che pronta esecuzion si diede nel corrente mese d'aprile. A perpetua memoria di ciò fu poscia eretta in ciascuna d'esse vie un iscrizione incisa in marmo, che io reputo inutile quì riferire". 1

Il Poggiali ci dimostra pertanto quanto sostenuto dal Fiori, ossia, le cause della profanazione delle abitazioni poste nei pressi dei chiostri del Duomo e di Sant'Antonino vanno ricercate non per motivi legati alla prostituzione ma a fatti puramente di sangue.

Un'ulteriore conferma ci giunge indirettamente dalle mani del militare e scrittore parmigiano G. B. Janelli (1819-1884); egli compilò la biografia dello storico suo concittadino Padre Salvatore da Parma (De' Bertoncelli), contemporaneo del duca Francesco Farnese.

Nella biografia si racconta che Padre Salvatore da Parma compose per il Duca un'orazione funebre, disponibile tra l'altro presso la nostra Biblioteca Passerini Landi, dove fece dei chiari riferimenti ai fatti accaduti nel 1717 e del provvedimento che Francesco Farnese intraprese per fermare quelle cruente azioni.

Leggiamo esattamente cosa scrisse di lui Giovanni Battista Janelli in: Dizionario biografico dei parmigiani illustri o benemeriti:
Salvatore (Fra) da Parma — Il 26 giugno 1727, recita in Borgosandonnino una Orazione italiana in morte del Duca Francesco I Farnese. Questo Fra Salvatore era della famiglia de' Bertoncelli, ed ebbe il carico, dice l'Affò 2, di Annalista della sua Provincia. Di mezzo ai di/Tetti di quella Orazione risplendono lampi di efficace eloquenza e di sana filosofia. Ed è pur degno di ricordo che un Cappuccino dell'anno 1727 magnificili il provvedimento, dato con santo consiglio dal Duca Francesco nel 1717, di distruggere un asilo di malvagi protetto, eran più secoli, dalle immunità ecclesiastiche nella città di Piacenza. Chiamavasi quel luogo / Chiostri. Erano due strade in vicinanza della Cattedrale e di Sant' Antonino. Il Pezzana conosce soltanto una sua opericciuola, nè sa se mettesse in effetto il suo uffizio d'Annalista. Che fosse predicatore è constatato. 3


Lo scrivente è certo che grazie a questa breve ricerca si è potuto fare maggior chiarezza sul significato di queste due lapidi che, come tante altre, caratterizzano il bellissimo centro storico di Piacenza ricco di fatti e di avvenimenti di cui far perpetua memoria.







1 POGGIALI C., Memorie storiche della città di Piacenza, Volume XII, Per Filippo G. Giacopazzi con Privilegio di S. A. R. e licenza de Superiori., Piacenza 1766, pp. 311-312.

2 L'Affò cui si riferì lo Janelli è lo storico dell'arte bussetano Ireneo Affò (1741-1797).

3 JANELLI G. B., Dizionario biografico dei parmigiani illustri o benemeriti, Tip. G. Schenone, Genova, 1877, P. 361.









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Autore: Claudio Gallini ©


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