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venerdì 26 maggio 2017

C'era una volta a Piacenza... Un elefante in mostra a Piacenza

a cura di
Claudio Gallini





In un post pubblicato tempo fa sul gruppo Facebook di Ripensando Piacenza, un'amica ci chiedeva  se in epoca moderna fosse transitato a Piacenza un elefante, perché letto in un libro in suo possesso; ho immediatamente aperto il cassetto dei ricordi in merito ad un racconto che lessi nelle prime pagine dell’ultimo volume delle “Memorie Storiche della città di Piacenza”, compilato da Cristoforo Poggiali.



Stemma del comune di Gossolengo (fonte: Wikipedia)


Riportiamo di seguito quanto scritto dall’annalista piacentino:

"Toccò nel gennaio corrente (1655 Nda) ai nostri concittadini il piacere nelle italiane contrade assai raro di veder, contemplare coi propri loro occhi un elefante, che fu condotto in Piacenza da certi todeschi, i quali, mediante una discreta mancia, lo mostravan al popolo sotto alle Volte delle piazza, là dove facevasi il Corpo di Guardia delli Soldati".

poi aggiunse:

"Assai caro nondimeno tal piacere costò a certo giovane, il quale, avendo mostrato per burla di dare un pomo al detto animale e poi avendoglielo negato, fu ragione, che esso animale sdegnatosi, con il naso, a tromba lo gettò in aria, e caduto per terra lo calpestò con i piedi, in maniera che non si poté aiutare per la qual cascata il giovane morì; fu sepolto in Sant'Ilario".

e concluse:

"Ed ecco una nuova conferma dell’antico proverbio, che insegna, essere un’imprudenza somma, e una cosa di pericol sempre piena l’addomesticarsi e trescare con chi ha forze maggiori di noi".

Quella dei pachiderma che passano a Piacenza dev'essere davvero un’abitudine poiché secondo una leggenda molto antica, Annibale, che sappiamo essere transitato giusto per una battaglia dalle nostri parti dotato di questi grossi animali, lasciò in cura alle genti di Gossolengo un elefante sfregiato durante gli scontri sul Trebbia. 



Ancora oggi, per tale ragione, lo stemma del comune di Gossolengo raffigura proprio un elefante, in memoria di questo leggendario racconto.

Fonte Immagine: https://www.eurogiochisrl.it
Un simpatico utente del gruppo Facebook ha addirittura proposto di posizionarne uno gonfiabile nel bel mezzo di Piazza Cavalli, cosa ne pensate?









Claudio Gallini è perito industriale e appassionato studioso di storia locale e di dialetti, soprattutto dell’alta val Nure dove risiedono le sue radici, fonti d'ispirazione per le sue ricerche.










Che nessuno tocchi l'insegna storica del cinema IRIS!


Domenica 28 maggio, il Cinema Iris di Piacenza cesserà definitivamente la sua attività.
Per la nostra città sarà l'ennesima perdita di un'attività commerciale storica, l'ennesimo "pugno allo stomaco" al nostro già sofferente centro storico.
Personalmente, dato che già è successo in passato con altre attività storiche della città. mi auguro che la vecchia insegna IRIS non venga rimossa.
Massimo Mazzoni



foto dell'Archivio Leonardi - tratta dalla pubblicazione "Prossimamente su Questo schermo" i Gian Carlo Andreoli

venerdì 19 maggio 2017

C'era una volta a Piacenza... la prima caccia al tesoro motorizzata a Piacenza

A cura di 
Claudio Gallini


Dai “Quadernucci” di Giulio Cattivelli, oggi vorrei raccontarvi quella che è stata battezzata come la prima “Caccia al tesoro” a Piacenza, per lo meno motorizzata.

Secondo il mitico “Cat” la prima caccia al tesoro motorizzata piacentina ufficiale si tenne difatti nel maggio del 1954 e fu organizzata dall’ACI cittadina.
(Fonte immagine: http://www.loisirsmotorsport.fr)

La competizione, che prese avvio oltre sessant'anni fa, era divisa in due parti.

La prima era ovviamente da compiersi con l’automobile, un po’ per le distanze, un po’ per lo spirito dell’organizzazione e consisteva nell'identificazione di otto luoghi sparsi lungo la fascia pedemontana, che da Castell’Arquato giunge sino a Campremoldo, attraverso semplici indovinelli; la seconda, la più goliardica a parer mio, constava in alcuni rompicapo un po’ più difficili ma molto originali tra cui la conta di tutti i paracarri apposti lungo lo Stradone Farnese.

Tra gli indovinelli della prima parte Cattivelli ricordava il rebus relativo a Pigazzano, infatti scriveva:

“[…] bisognava infatti prendere un pino, dividerlo in due e inserirvi un volatile reso celebre da Rossini (gazza)”.

Egli riportava che alcune squadre, probabilmente poco pratiche di Piacenza e provincia o forse poco ferrate in musica, finirono addirittura a Piozzano tra lo stupore degli agricoltori e le imprecazioni dei ciclisti rimasti impolverati dal via vai di rimbombanti automobili che sfrecciavano sulle strade non asfaltate di allora.

I partecipanti al gioco sfioravano il centinaio di squadre e di questi solo la metà furono ammessi alla seconda parte dedicata a quiz un po’ più animati.

Da dieci rompicapi si dovevano ricavare dieci numeri la cui somma avrebbe restituito un numero telefonico.

Ricordiamo i lettori che al tempo non si doveva comporre lo "0523".

Tra i tanti indovinelli elencati ricordiamo:

“Cosa fa lieta al toto e trista a tavola?”

Avete indovinato? Il numero 13 naturalmente!


(Fonte immagine: http://www.verbacreative.com)


Un altro rompicapo chiedeva quante ossa ci sono in una mano! I concorrenti interpellarono medici di ogni sorta ed ognuno aveva una risposta discordante con l’altra causando un generale sconforto e sfiducia in questa competizione; ma le sorprese non mancarono fino alla fine della gara!

Il colpo finale fu quello di contare, come già anticipato, tutti i paracarri dello Stradone Farnese:

“Fissi e fessi, a destra e manca a contarli ci si stanca”, recitava lo scritto sul foglio consegnato ai concorrenti.

Dobbiamo immaginarci una colonna d’auto che partiva dal “Dolmen” sino a Piazzale Libertà.


Alcuni esemplari delle centinaia di paracarri presenti sullo Stradone Farnese a Piacenza
(Foto di Claudio Gallini)

I partecipanti non avevano ben chiaro se dovevano includere nella conta anche quelli spezzati o addirittura quelli rasi al suolo.

Sta di fatto che questa colonna procedeva a passo d’uomo con lo stupore generale dei passanti che vedevano sbucare dai finestrini queste strane figure attente a contare con il dito indice i paracarri.

Qualcuno iniziò a far dei calcoli e tentò di chiamare numeri a caso, altri provarono a chiamare il centralino dell’ACI per farsi dare la risposta esatta ma non tornavano i conti e furono pertanto squalificati.

Tra una risata e l’altra terminò così la prima caccia al tesoro piacentina il cui equipaggio vincitore era formato da:

Luigi Pellecchi, Umberto Moizo, Melchiorre Dadati, e Franco Conti alla guida di una FIAT 1100.

Sarebbe bello ritrovare qualcuno di questi partecipanti e farci raccontare le loro emozioni.  

Ma a proposito... Voi sapete quanti paracarri sono collocati sullo Stradone Farnese?






Claudio Gallini è perito industriale e appassionato studioso di storia locale e di dialetti, soprattutto dell’alta val Nure dove risiedono le sue radici, fonti d'ispirazione per le sue ricerche.

venerdì 12 maggio 2017

A tòc e bucòn parlùm ad... scurnüssla

A cura di
Claudio Gallini



Un'antica filastrocca piacentina recita così:

Scurnüssla vé dal bàss, c'at darò pan e grass, c'at darò la ricuttèina, par la sìra e la mattèina.

che tradotta sarebbe:

"Lucciola scendi in basso, ti darò pane e lardo, ti darò la ricottina per la sera e la mattina".

In questa puntata tratteremo per l'appunto di lucciole, quei piccoli insetti che nel buio delle notti d'estate volteggiano, soprattutto vicino ai prati, con la caratteristica lucina che splende con moto alternativo.

In foto un esemplare di lucciola
(fonte immagine: www.lastampa.it)
La lucciola a Piacenza è chiamata appunto, scurnüssla.

Nel Vocabolario piacentino - italiano edito dalla Banca di Piacenza, mons. Tammi ci spiega molto chiaramente l'etimologia di questo lemma dialettale che deriverebbe dal latino culilùcida, ossia, "sedere lucente".

E' un termine dialettale molto originale e caratteristico della nostra città e di alcune zone limitrofe, come confermato dalla consultazione di alcuni atlanti linguistici.

Difatti intervistando un parmigiano, la chiamerà: lùzza, un cremonese: lüzentèn, a Milano: zirö, a Genova addirittura: ciabéla.

Il Vocabolario Piacentino - Italiano edito dalla Banca di Piacenza, ci riporta anche la variante: lüzarein. 

In alta val Nure è denominata, a titolo di curiosità, invece: lümèn, ma anche cõnchèn nella forma più arcaica.



Un simpatico disegno che illustra una "scurnüssla".
(fonte immagine: http://www.logomore.net).


Nel piacentino antico il Foresti ci conferma la voce: scôrnuzla, praticamente identica a quella odierna.
(NB: quella "ô" va letta come l'ou francese come four, forno).

Chiudo il mio brevissimo intervento con una piccola raccomandazione, invitando tutti voi a non prendere mai lucciole per lanterne… 






Claudio Gallini è perito industriale e appassionato studioso di storia locale e di dialetti, soprattutto dell’alta val Nure dove risiedono le sue radici, fonti d'ispirazione per le sue ricerche.

domenica 7 maggio 2017

Personalità piacentine... Mario Morisi piacentino benemerito 2016, da Groppallo di Farini (PC) a Dole in Francia

A cura di
Claudio Gallini





E’ ormai cosa risaputa che il comprensorio di Groppallo, nel comune di Farini in provincia di Piacenza, è terra fertile non soltanto per la coltivazione di pregiati cereali e tuberi di magnificata considerazione, ma altresì può celebrare di aver dato radici e natali a personalità conosciute in tutto il mondo nel settore della cultura, delle arti, della cucina, e possiamo proseguire ab libitum



Tra queste figure del presente, vogliamo trattare in questa sede dello scrittore e giornalista italo francese Mario Morisi, già premiato piacentino benemerito nel 2016.


Mario Morisi in uno scatto di © Martin Gore

Chi è abbastanza pratico di queste zone ma non conosce nel profondo il mitico Morisi, avrà già prontamente associato il suo cognome allo splendido villaggio di Groppazzolo di Groppallo; difatti le radici di Mario Absentès (da Assente), con questo pseudonimo e molti altri firma spesso i suoi lavori, affondano proprio in quel borgo fiabesco che in epoche medievali era un dipartimento a sé con tanto di castello, oggi ahimè scomparso, una propria chiesa dotata di campanile, fortunatamente ancora in piedi, dove “Chi ‘d Muröra” (un tipico soprannome del posto) rappresentano e identificano la sua discendenza.


Di seguito si vuole dare una sintetica biografia di questa grande persona che, nonostante abiti e lavori in Francia, dove ha maturato un’apprezzabile notorietà, non dimentica mai di ispirarsi e citare le fondamenta della sua famiglia d’origine, dando lustro ai nostri luoghi piacentini e all’Italia.

Mario Morisi è nato il 1° gennaio 1951 a Neuilly-sur-Seine giusto poco meno di venti minuti dalla Tour Eiffel, a nord-ovest di Parigi, da Giovanni, capocantiere nel settore dell’isolamento termico emigrato in Francia dalla Valnure in tenera età, e da Janine, “una francesina allevata in mezzo a tante amiche italiane”, proprio come ce la rappresentò Mario sul suo sito (www.mariomoris.eu).

Egli trascorse i primi sette anni della sua vita viaggiando per la Francia in lungo e in largo con suo padre: da Marsiglia a Boulogne, da Dunkerque a Saint-André de l'Eure, passando per Pornichet fino a stabilirsi definitivamente nei pressi di Dole nel dipartimento del Giura nella regione della Franca Contea dove egli si formò.

Mario Morisi è il biografo ufficiale di Roberto Baggio in Francia.
(Foto: Archivio Morisi)
A Dole compì gli studi liceali, frequentò l’Università di Besançon fino a conseguire un master in filosofia presso la Facoltà di Lettere di Besançon, uno degli atenei più antichi d’Europa (1422) con una biblioteca di prim'ordine che supera i 160.000 volumi gelosamente conservati.

Al conseguimento della laurea egli si trasferì in Inghilterra, vicino a Birmingham, presso il “Solihull Sixth Form College” per lavorare come insegnante di francese e due anni dopo in Algeria nel Sahara algerino di El Oued, con la stessa missione.

In entrambi i casi giocò a calcio, anche da semi-professionista; fu una speranza del calcio, fino a giocare nelle selezione scolastica transalpina.

Di ritorno in patria Mario divenne il direttore della “MJC” (Maison des jeunes et de la culture, ossia la “Casa della gioventù e della cultura”); si tratta di strutture autonome distribuite in tutta la Francia che hanno la capacità di raccogliere lo sviluppo di iniziative giovanili, collegandole alla cultura in una prospettiva di educazione popolare, in piena linea con lo spirito del Morisi attuale.

Nel 1986 ebbe inizio la sua ricca produzione letteraria con la pubblicazione dei suo primo libro dal titolo: L'Émirat du tourbillon e Les Baskets d’Euripide che lo fecero apprezzare a livello nazionale.

Contestualmente divenne collaboratore del settimanale francese “L'Événement du jeudi”, uno news-magazine fondato sei mesi prima da Jean-François Kahn, contraddistinto per la sua indipendenza radicale e il suo carattere pungente.

Dal 1986 sino al 1988 lavorò come lettore e correttore di bozza nell’editoria e nella stampa, per poi diventare rewriter e “scrittore ombra”.

In questo periodo lavorò con la grande Arletty, Amanda Lear e Sam Bernett, famoso cronista rock degli anni ’60 ‘70.

Si trasferì poi a Marsiglia, dove fu scelto da Roland Dhordain, nota leggenda radiofonica francese, per guidare la redazione della rivista, “Revue des Caisses d’Epargne” (1989-1993).

In foto troviamo Mario Morisi con Arto Paasilinna, il grande autore finlandese.
(foto di: Joel Saras)
Nel 1990 nacque Laura, la sua unica e adorata figlia avuta, dalla compagna Suzanne.

In seguito creò un mensile gratuito originale a Marsiglia, la cui peculiarità era quella di essere satirico, pungente, indipendente e distribuito solo nei bar e nei luoghi culturali; quando lasciò Marsiglia, lo portò a Besançon, da capo editore, dove usci fino al 2000.

Nel 1996, iniziò a lavorare a un trittico su Roberto Baggio raccogliendo quasi duemila articoli e pezzi sul “Divin Codino”, mito del calcio mondiale.

Aiutato da una borsa "Stendhal", ne usci un romanzo, una “piece teatrale” di cui se n’è parlato in tutto il mondo e una biografia francese on-line.

7 agosto 2016 Mario Morisi riceve il riconoscimento dal titolo: "Piacentino nel Mondo"
presso la sala consigliare del Comune di Ponte dell'Olio (PC).
(Foto: Archivio Morisi).

Dal 2000 scrive gialli di successo, collabora a più testate, e diventa scrittore a tempo pieno, conducendo laboratori perfino nelle carceri. Da allora le sue produzioni sono davvero notevoli: undici componimenti narrativi, due saggi, parecchie novelle e un’opera teatrale musicale dal titolo “Orfeo Baggio”, andata in scena presso il Teatro dell'Opera di Besançon, davanti alle telecamere Rai, ricevendo recensioni da tutto il mondo.

Il suo lavoro è stato riconosciuto anche dall'assegnazione di due “Mission Stendhal” dal Ministero degli Esteri francese e di altrettante borse di studio conferitegli dal Consiglio Regionale della Franca Contea. 

Nel 2013, fu invitato al Louvres da Aurélie Filippetti, l’allora ministro dei Beni culturali, con trenta altri autori di origine straniera.

Giornalista dal 1988, collaborò con diversi giornali francesi, tra i quali Taktik, il primo settimanale gratuito di arte e spettacolo in Francia. Creò un mensile, L’Echo du Zinc, ma dal 2012, divide il suo tempo Francia e Italia. 

E’ rilevante segnalare un saggio in lingua italiana redatto da Morisi e incluso dei primi Quaderni dell’Arcimatto: “Brera, ce l’avevo a casa” scritto in onore di suo padre e del grande giornalista italiano Gianni Brera. “Gianèn da Muröra”, così era appellato suo padre a Groppazzolo, era per Mario un vero punto di riferimento che gli trasmise tante passioni come il “piacere per il sapere” e lo sport ed egli difatti lo iniziò al gioco del calcio raggiungendo notevoli soddisfazioni personali: selezioni regionali e nazionale scolastica under 17, fino a firmare contratti semi-professionistici in Francia e Inghilterra.

Tra l’altro Morisi si è fatto conoscere con “Les Baskets d’Euripide”, primo romanzo per azione, dove gli azionari diventavano protagonisti di una fiaba dai toni boccacciani. 

Fondò la “nouvelle poésie” con Charlie Schlingo, il geniale e solforoso cartoonista francese.

Incontrò Roberto Baggio e divenne il suo biografo in Francia.

Esplorò il grande nord e scrisse un romanzo in omaggio ad Arto Paasilinna, lo scrittore finlandese più famoso nel mondo.

Recentemente, ebbe l’onore di collaborare con Getty Images, la top agenzia vip, per “Kerguelen, peintre soldat”, il suo ultimo romanzo.

Nell’estate del 2016 Morisi è stato onorato del riconoscimento dal titolo: "Piacentino nel Mondo", assieme a Joe Ferdenzi e John Maschi giunti dagli USA che, come Mario, si sono contraddistinti all’estero per competenza e solidarietà.

Da agosto 2016, collabora con il quotidiano bresciano Brescia Oggi sul quale ogni settimana pubblica “Mine vaganti”, un editoriale molto pungente.

Tra le numerose pubblicazioni in lingua francese di Mario Morisi vogliamo ricordarne qualcuna:

L'Émirat du tourbillon, Vertiges du Nord, Paris.

Les Baskets d'Euripide, Vertiges/Carrère, Paris.

Dans la ville aux mille coupoles (récit), Éditions du Zinc, Besançon.

Mort à la Mère, Vauvenargues, Paris.

J’aurais ta peau Saxo, Vauvenargues, Paris.

Achevez Cendrillon, Vauvenargues, Paris.

Castor Paradiso, Tigibus, Besançon.

Le Monde selon Baggio, suivi de la pièce Orféo Baggio: L'Embarcadère, Paris.

Le Poisson d’Absentès, Dmo Dmo, Dole.

Le tragique destin postal de Jeanne Antide Vermot, Musées de Besançon.

Kerguelen, peintre soldat, Baudelaire, Lyon/Paris.

Soldata Sana ou les 1001 vies de Rosa Morisi Jones.

Mentre tra i romanzi in lingua italiana citiamo:

Baggio salva il Brescia (nouvelle à la une), Bresciaoggi, anno 32, n°145.

Brera, c’è l’avevo a casa, in I Quaderni dell'Arcimatto n°1", 2010, Limina, Arezzo.

In questi giorni Mario Morisi si sta battendo al fianco di Jean Luc Mélenchon, il fondatore della “France insoumise”, 19,59% al primo turno delle elezioni presidenziali transalpini per una ecosocialismo di rottura, in una Francia afflitta dalla stagnazione finanziaria, La “France insoumise”, secondo Morisi, è una medicina che servirebbe anche in Italia.

Lasciamo in disparte gli aspetti politici e attendiamo a braccia aperte l’arrivo annuale di Mario Morisi in Italia, agli esordi della prossima estate, per incontrarlo durante i tanti incontri culturali organizzati nella nostra provincia.












Claudio Gallini è perito industriale e appassionato studioso di storia locale e di dialetti, soprattutto dell’alta val Nure dove risiedono le sue radici, fonti d'ispirazione per le sue ricerche.

giovedì 4 maggio 2017

la magia del Guercino a Piacenza, ha finalmente svelato una città per troppo tempo rimasta all'ombra di sè stessa.

La mostra del Guercino a Piacenza, dislocata nelle due prestigiose sedi di Palazzo Farnese e nella Cattedrale cittadina, sta dando a Piacenza un'esposizione mediatica senza dubbio a cui la città emiliana non era abituata.
Dal 4 marzo, data della sua inaugurazione, tutta la cittadinanza ha potuto constatare gli effetti positivi che un evento culturale di questa importanza porta a tutto il territorio. Tante associazioni di cittadini hanno fatto finalmente "squadra", proprio per raggiungere un obiettivo comune, quello di portare in alto Piacenza.
La domanda che mi pongo e, probabilmente non sono l'unico a farsi la medesima questione è: ma terminato questo bellissimo evento, Piacenza tornerà per anni ad essere la bella e semisconosciuta addormentata o trarrà un insegnamento concreto da questo fantastico evento culturale?
Recensioni lusinghiere relative all'evento ma anche alla città ospitante. Da un lato, mi inorgoglisce non poco che la città trovi finalmente il giusto spazio sui siti e sulle riviste nazionali ma, dall'altro, mi fa un po' "paura" pensare al post "Guercino"...

martedì 2 maggio 2017

A tòc e bucòn parlùm ad... ragò, regò, ragù

A cura di
Claudio Gallini

Noi piacentini siamo unici anche per alcune espressioni idiomatiche che ci identificano in maniera molto decisa. Quando ascoltiamo frasi del tipo: Cùst l’è un bell ragò, oppure Am so truvä in meṡ d’un ragò, vado dritto al senso di questo breve articolo.

La voce dialettale ragò indica difatti la confusione che puoi trovare in Piazza de’ Cavalli la sera dei “venerdì piacentini” o le mattine dei mercoledì e sabato intorno ai banchi del mercato cittadino ma altresì è un pasticcio, una situazione difficile da risolvere, un ragò insomma!

L’origine di questo lemma è ben spiegata nel vocabolario di mons. Tammi, edito dalla Banca di Piacenza, che per questa rubrica sarà un vero punto di riferimento. 


Il “ragò” deriverebbe dal francese “ragout” che a sua volta è generato dalla fusione del verbo ragouter e dal sostantivo gout ossia, “risvegliare il gusto”; chiaramente “ragò” richiama il pantagruelico “ragù” che oltre ad essere davvero gustoso è proprio una, passatemi il termine, confusione di carni e verdure, come il senso figurato che assume in particolar modo nel nostro vernacolo.

Il “ragò” è talmente parte di noi piacentini che viene utilizzato per esprimere in italiano corrente le situazioni prima descritte, come per le frasi, ad esempio, “Mio figlio ha combinato un bel ragò!”, oppure, “Ho un gran ragò in testa...”, e così via.

Il Foresti, altro vocabolario che sfoglieremo soprattutto per confrontare l’evoluzione dei termini dialettali piacentini, nel 1836 riportava già questa voce, alla quale l’autore dà questa definizione: “Cibreo e anche ragù. Voce dell’uso. Intingolo, manicaretto noto.”

A titolo di curiosità anche Francesco Cherubini, autore del famoso “Vocabolario milanese - italiano” fornisce la stessa definizione per ragò e aggiunge però questo esempio “Ragò de robba frùsta”.

Il Tammi inoltre contempla la variante: regò

E’ da riferire infine il vezzeggiativo raguttèin che non sminuisce in questo caso il buon ragù preparato dalla nonna, ma anzi lo elogia come nella frase, Ho mangiä un raguttèin tant bòn... am végna fàm ragàss!



(Fonte immagine: http://www.giallozafferano.it)












Claudio Gallini è perito industriale e appassionato studioso di storia locale e di dialetti, soprattutto dell’alta val Nure dove risiedono le sue radici, fonti d'ispirazione per le sue ricerche.